Quando il bullismo è contro i prof

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Anche oggi i giornali danno notizia di un professore picchiato a scuola, secondo un copione a cui ormai stiamo gravemente facendo l’abitudine: studente rimproverato, sgridato o che ha preso un brutto voto, genitore che picchia il professore. Questa volta il genitore si è pentito, la ragazza ha detto una bugia; insomma, ci sono come sempre circostanze da valutare che però, ora, non ci interessano: ciò che interessa è che questi episodi, in cui gli insegnanti vengono picchiati da genitori o da studenti, si ripetono con una frequenza allarmante. Solo negli ultimi giorni, un professore è stato picchiato in classe da uno studente in provincia di Verona e una professoressa è stata legata, picchiata e ripresa con un cellulare ad Alessandria.

Si rischia troppo spesso di cadere nella tentazione, soprattutto quando a comportarsi male sono gli studenti, del “O tempora o mores!“, del luogo comune per cui oggi i giovani sarebbero superficiali e non avrebbero più alcun rispetto per gli adulti. Niente di più sbagliato: è sempre stato così. Il ruolo della scuola e degli insegnanti è proprio quello di agire sui mores, sui comportamenti; per farlo, però, è necessario avere le spalle coperte, dal punto di vista politico, e un ruolo riconosciuto all’interno della comunità. Oggi mancano entrambi gli elementi.

Stiamo raccogliendo i frutti di una svalutazione dell’istituzione scolastica operata da tutte le forze politiche che si sono alternate al governo negli ultimi anni: una scuola che per essere considerata “valida” e “utile” è stata affiancata al mondo del lavoro, anche esplicitamente con l’alternanza scuola-lavoro, come se il suo ruolo da sé non bastasse, come se avesse senso solo in un’ottica di “preparazione di lavoratori”. Si capisce bene come, al di là della variabile capacità individuale di gestione di una classe e dei rapporti interpersonali con i genitori, in generale il ruolo del docente venga indebolito, quando alla scuola viene negata una propria ragione d’essere indipendente dal contesto lavorativo.

Non solo. La scuola è stata aziendalizzata, molti professori sono precari e il loro futuro dipende dalle decisioni del dirigente scolastico, ormai diventato capo: un professore precario, magari un supplente, che non sa nemmeno dove starà l’anno successivo, quale forza può avere di fronte a critiche di studenti e genitori? Come può agire, imporsi sui comportamenti, se rischia di essere il primo a saltare nel caso di contrasti? Un professore così debole non può operare in maniera corretta in un contesto critico come quello dell’istruzione degli adolescenti.

La frequenza di questi episodi è preoccupante, ma ancor più preoccupante è l’assoluto silenzio politico su questi continui episodi che evidenziano quanto sia stato indebolito il ruolo dell’insegnante. La classe politica di un sistema democratico deve assumersi l’impegno di ridare forza all’istituzione scolastica in sé, come fulcro e pietra miliare della formazione dei cittadini: non c’è altra soluzione.

 

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