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Il tempo e la scuola

La scuola sembra essere l’unico luogo in cui il contesto non è rilevante.

Qual è il contesto di cui parlo? Tutto quello che c’è attorno all’attività scolastica: i luoghi in cui avviene; il tempo in cui avviene e quello che le si dedica; le persone coinvolte nell’attività, con le loro caratteristiche e le loro peculiarità. Tutto questo raramente viene considerato, a scuola. Quasi sempre, si preferisce correlare gli esiti dello studio e della crescita alla responsabilità individuale: se si hanno carenze, in matematica o in italiano, è perché “si è impegnata poco”, perché “non ha studiato abbastanza”, per non parlare di giudizi più radicali e definitivi, “casi disperati” e “studenti irrecuperabili”. L’impegno sembra essere l’unica variabile presa in considerazione. Tutta la responsabilità è dello studente, paradossalmente anche quando viene ritenuto “non capace”, quando “non ci arriva”, quando insomma nemmeno l’impegno sembra bastare.

Ma perché non si prendono in considerazione anche altre variabili? Il fatto che la maggior parte delle scuole è bruttarella e poco funzionale, o che le classi sono affollate, o che in luoghi così affollati c’è meno disponibilità di ossigeno… Il fatto che ci sono tanti modi per fare lezione, adatti a persone con attitudini e stili cognitivi differenti, ma nella stragrande maggioranza dei casi si pratica solo la lezione frontale. Perché? Lockdown e pandemia ci hanno costretto ad affrontare alcuni di questi temi, di queste variabili, e forse ci siamo accorti che effettivamente qualcosa poteva essere cambiata; molto, però, in questo primo periodo post-pandemico, sta tornando esattamente com’era prima della pandemia.

Un simpatico gioco in cui vengono proposti edifici e bisogna indovinare se è una scuola o una prigione. Potete giocarci qua.

Una delle variabili che rimane sempre sullo sfondo, e che raramente viene presa in considerazione per capire se ci si possa provare a lavorare su, è quella del tempo: sia il tempo effettivo in cui si va a scuola – il calendario scolastico – sia il tempo che si può dedicare a un singolo argomento o a una singola competenza.

L’orario scolastico, le ore della giornata in cui si va a scuola, è quasi intoccabile. A scuola si va la mattina, abbastanza presto (quasi sempre alle 8, o alle 8:30), si sta tendenzialmente fino all’ora di pranzo, si esce, e poi in molti casi si torna a casa a studiare e fare i compiti, provando a incastrarli in mezzo alle altre attività, sportive, artistiche, sociali nei migliori dei casi, lavorative nei più complicati. Se uno studente la mattina è poco predisposto all’ascolto, affari suoi. Se uno studente il pomeriggio è troppo stanco per studiare, magari perché si è svegliato presto per andare a una scuola lontana da casa, affari suoi. Il tempo è questo e non si tocca. Qualche scuola, negli ultimi anni, ha iniziato a sperimentare orari di ingresso diversi, e i risultati sembrano essere molto incoraggianti.

A scuola, poi, si fanno sempre 4, 5, 6 ore consecutive, con in mezzo solo una o due pause di 10-15 minuti. In queste ore, compresse, si fanno 2, 3, 4 o anche 5 materie diverse, anche molto diverse: storia prima, matematica poi, disegno tecnico, biologia, educazione fisica. Può capitare che uno studente debba risolvere un’equazione di secondo grado, e 20 minuti dopo fare l’analisi di una poesia di Foscolo. Ovviamente, se l’ordinamento prevede un certo numero di materie, è normale che in una giornata si debbano fare più materie: ci limitiamo a sottolinearne l’effetto straniante e con ragioni poco pedagogiche. Infatti, gli orari vengono composti facendo i conti con la disponibilità dei professori e con gli incastri possibili tra le diverse classi. Anche in questo caso, esistono sperimentazioni che provano a giocare con questi limiti, e di solito danno esiti positivi o comunque interessanti, ma troppo spesso rimangono prive di qualsiasi seguito o di qualsiasi divulgazione ben fatta a livello nazionale.

Quello su cui però si potrebbe immediatamente incidere è il tempo da dedicare ad argomenti e competenze che si giudicano fondamentali. A scuola, ogni materia ha generalmente il suo tempo: in primo si fa generalmente questo, in secondo si fa questo, in terzo si fa quest’altro, ecc. C’è un tempo assoluto che procede di anno in anno e che prescinde delle competenze degli studenti, che vengono date per acquisite una volta passato l’anno. Non ho mai imparato le tabelline? Pazienza, noi in primo facciamo questo, le tabelline sono un problema tuo. Non so mettere in fila quattro parole scritte senza naufragare miseramente in frasi incomprensibili? Pazienza, siamo in quarto e dobbiamo fare il testo argomentativo, affari tuoi.

Potremmo pure accettarlo: sembra naturale pensare che in primo liceo non si possano nuovamente fare le tabelline. Sarebbe scandaloso, no? Non ci si ricorda, però, che è la stessa istituzione – in uno degli ordini precedenti – che non ha aiutato Marco o Giulia a imparare le tabelline. Magari, proprio perché anche all’epoca non c’era abbastanza tempo per soffermarcisi. L’istituzione che poi, qualche anno dopo, dice a Marco e Giulia che sono affari loro, che quelle cose avrebbero dovute impararle prima, e se non l’hanno fatto è colpa e problema loro.

Dobbiamo capire una cosa: ogni persona ha il proprio percorso di apprendimento, le sue peculiarità, i punti di forza, le debolezze. E per questo, a seconda della competenza o della nozione, ogni studente può aver bisogno di tempi diversi. Di fronte alla “lentezza” (cioè, detto meglio, di fronte ai differenti tempi di apprendimento delle diverse persone) la scuola si comporta in due modi: rimanda – i famosi “debiti”, come se per forza tutto si dovesse ridurre a un valore economico – e boccia, con tutta la delusione e la frustrazione che ne consegue; oppure fa finta di niente.

In questo ultimo caso, si fa vivacchiare lo studente, non si prendono in carico i suoi problemi, e così si accumulano le carenze, che diventano via via più difficili da recuperare durante il resto della carriera scolastica. Nel caso invece della bocciatura e dei debiti formativi il tempo viene effettivamente dato: se uno viene bocciato deve rifare tutto l’anno, interamente, come se lo stesse facendo per la prima volta. Quindi in realtà non c’è l’occasione per approfondire o colmare le carenze, ma è un secondo tentativo senza che venga modificato alcunché. Più fortunati, forse, sono gli studenti che hanno ricevuto un debito e hanno anche un programma specifico preparato dal docente: in quel caso non bisogna recuperare tutto, ma solo gli argomenti e le competenze in cui si è riscontrata più difficoltà. Approfittando, inoltre, del tempo estivo: tre mesi in cui legittimamente ci si riposa, ma in cui si potrebbero anche affrontare gli argomenti scolastici con più tranquillità e serenità, potendo gestirsi i tempi, potendo decidere in che momento della giornata e quando studiare, concentrandosi su poche cose, magari relative alla stessa materia o agli stessi argomenti.

Il discorso è che per alcune cose ci vuole tempo, e non considerare questo porta inevitabilmente a una recita più che a un percorso educativo. Prendiamo ad esempio la scrittura: uno dei lamenti continui sui giovani d’oggi è che non sanno scrivere. Gli stessi professori di italiano si lamentano che i giovani non sanno scrivere, e spesso i problemi partono dalle elementari e dalle medie. E quindi perché il professore di liceo dovrebbe occuparsene? Lo riguarda? Beh, qua crediamo che lo riguardi eccome, a meno che il compito dell’insegnamento dell’italiano sia affrontare determinate nozioni/competenze sull’italiano a seconda dell’anno, senza mai andare alla base del ruolo vero: insegnare a usare la lingua in diversi contesti.

E per migliorare in questa competenza serve mooolto più tempo di quello che viene usualmente dedicato a scuola: serve innanzitutto provare, tentare, serve essere corretti e imparare a correggersi, serve riprovare, essere nuovamente corretti e correggersi nuovamente, e così via. Non c’è un termine, una fine, nella problematizzazione e nel miglioramento della scrittura e del suo uso: di certo bisogna dedicarle più tempo, delle due, tre ore che gli vengono dedicate di tanto in tanto per qualche compito d’italiano, in cui lo studente penserà più al voto che a migliorare nel suo stile e nella sua capacità espressiva.

Lo stesso vale per le competenze matematiche e per imparare a usare la matematica: a volte, i programmi sembrano fatti apposta per saturare qualsiasi momento, impedire i tempi morti, le piste sbagliate, il rimuginare sulla pagina bianca. Cosa vuole la scuola da te? La scuola preferisce che tu mostri di aver appreso una nozione o un metodo, semplicemente riproponendolo, piuttosto che metterti nella situazione di farci qualcosa di nuovo, con quella nozione o con quel metodo. Questo scenario stravolgerebbe il rigido tempo scolastico. Perché sperimentare, provare, mettersi in gioco comporta anche l’insuccesso e il tempo “perso” – che perso non è, se viene usato per imparare a muoversi con i metodi e le nozioni apprese.

Sarà per questo che alla fine, da tutor e educatore, amo lo studio estivo: un tempo svincolato dalla burocrazia e dalla spesso rigida programmazione scolastica, in cui non ci sono voti e prove quotidiane, in cui c’è tanto tempo per colmare lacune e anche provare meraviglia di fronte ad argomenti che mai avremmo immaginato. Semplicemente, abbiamo più tempo da dedicargli: possiamo masticare e digerire meglio.

Augurando un passaggio dell’anno senza debiti a tutti i nostri studenti e le nostre studentesse, ricordo con piacere -ovviamente oggi, con tutti il senno di poi – l’anno in cui presi il debito in chimica: numeri di ossidazione, ossidoriduzioni, bilanciamenti e coefficienti stechiometrici erano per me inarrivabili e incomprensibili, nel corso dell’anno. Durante l’estate mi è sembrata una scemenza: dovevo fare solo quello, potevo dedicarmici quando volevo, potevo rimuginarci, potevo provare. Ho passato il debito senza problemi e ancora mi ricordo come si bilanciano le ossidoriduzioni. Tra i tanti argomenti scolastici, forse è quello a cui ho dedicato più tempo.

Quali studenti? Quale metodo?

È un’afosa giornata di giugno. In questo periodo si fanno lezioni in vista degli esami di recupero di luglio e settembre. In pratica, per chi è del mestiere, il mese in cui si incontrano tanti studenti nuovi, sconosciuti; il che è naturalmente positivo, perché vuol dire che gli studenti che hai seguito durante l’anno sono andati bene. Ma incontrare uno studente nuovo è un po’ come un primo appuntamento: gli piacerò? mi piacerà? scatterà quel minimo di chimica per far andar avanti la cosa? o non ci vedremo più dopo la prima lezione?

Per un tipo di insegnamento che fa dell’empatia e della relazione i principali strumenti di lavoro (magari fossero solo quelli), una prima lezione è sempre preoccupante. Non solo. Già mi sono stati presentati gli studenti: un ragazzo discalculico che sta al terzo anno, ha il debito in matematica, non ha mai fatto matematica perché gliel’hanno sempre lasciata passare; una ragazza del terzo anno di un tecnico, con disturbi specifici dell’apprendimento, ma soprattutto silenziosissima, da non darti modo di capire se stia seguendo o meno; un ragazzo del primo anno dell’agrario, con un disturbo dell’attenzione, so che ha una qualche disabilità ma i genitori non mi dicono cosa.

Vabbè, è il tuo lavoro, direte voi. Vero, ma troppo spesso ci si scorda che anche l’insegnante deve stare bene; e a volte non basta, se di fronte c’è un muro. Poi fa caldo, ho tanto lavoro lasciato indietro per i mesi di lezione intensi, sono “stanco” di quella stanchezza che ti viene d’estate con mezzo cervello che un po’ si sente in vacanza (antichi ricordi degli anni scolastici, come graffiti sulle pareti del cranio). Riuscirò a fare quello che devo fare nel modo in cui devo farlo? O farò il minimo sindacale senza trovare con lo studente quel canale comunicativo privilegiato che in genere caratterizza il nostro insegnamento? Si preannuncia una giornata difficile. 

Diego. Mi accoglie un pischello muscolosetto, rasato, al citofono sembrava scocciato (in realtà è il tono di qualsiasi adolescente al citofono, voce strascicata annoiata, non si capisce niente e sembra che farebbe entrare chiunque perché è troppo sbatti non far entrare qualcuno), in realtà è gentile e dopo una breve chiacchiera ci mettiamo a lavorare. Che dire? Questo ragazzo non sa davvero nulla di matematica. Ripartiamo da semplice calcolo algebrico, lo guido nella risoluzione di un’equazione traducendogliela contemporaneamente in italiano (uno dei grandi problemi del calcolo algebrico è che i ragazzi non sanno cosa stanno facendo: anche i più bravi sanno svolgere tutto il procedimento alla perfezione, ma non sanno esattamente a cosa serve l’incognita, cosa *vuol dire* un’equazione), nonostante sia discalculico lo metto un po’ alla prova con semplici moltiplicazioni: lui risponde senza azzeccare mai (moltiplicazioni del tipo 2 x 3, 4 x 5, ecc. eh), allora cambio strategia e lo tranquillizzo sull’uso della calcolatrice (sono un mulo testardo: un po’ di calcolo a mente lo faccio provare sempre). Mi ritrovo in una situazione mai capitata: quando possono usare la calcolatrice, TUTTI i ragazzi usano la calcolatrice, santa salvatrice dall’ansia della risposta matematica corretta, anche per calcoli molto semplici. Lui invece continua a provare a rispondere (senza alcuna ratio, velocemente, senza riflettere), mentre io gli dico di usare la calcolatrice; tuttavia lo assecondo un po’ per premiare la volontà. “Quindi, qua abbiamo 2 x 3, quanto fa?”, “4”, “No”, “8”, “No”, “16… 40!” “No scusa ma perché non usi la calcolatrice?”, “Mi piace sparare numeri a caso”. Ed effettivamente sembrava provarci enorme gusto, nello sparare numeri a caso: mai vista una persona urlare con tanta convinzione dei numeri “4! 8! 16! 40!”, come oggetti misteriosi, rituali magici, amuleti di cui non si conosce l’utilizzo ma che la società venera e adora. I numeri. In realtà, scomponendo il calcolo e mostrando altri percorsi Diego non aveva problemi: “Quindi, 17 + 9 fa…”, “Seee!”, “Scusa eh, 20 + 7?”, “27”, “E quindi 19 + 7?”, “26”. Fatto. A Diego non manca IL metodo, a Diego manca QUEL metodo.

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Francesca. La ragazza silenziosa. Già l’avevo vista, già ci avevo fatto lezione. Lì per lì mi stava antipatica. “Eh? Ma come? Sei l’insegnante o no? Sono legittime queste valutazioni?”. Eh oh, che vi devo dire, mi stava antipatica. Non che la odiassi, ma ringraziavo di non essere il suo insegnante. Durante le lezioni la vedevo lì, muta, silenziosa. Il mio insegnamento si basa in gran parte sul botta e risposta, pim pum pam, ho bisogno di gente reattiva (io, ho bisogno: trova l’errore se sei un insegnante), non ci faccio nulla con una ragazza silenziosa. Attenzione: silenziosa, non apatica. Fa sempre i sorrisini di chi è consapevole di star rimanendo zitto, quando lo stuzzichi per parlare. Comunque, Federica ha il debito in storia e biologia. Facciamo una mezz’ora di biologia perché sta indietro sul programma. Sta al turistico, è una biologia molto semplice, posso aiutarla. Partiamo dall’atomo, rivediamo l’atomo: la faccio schematizzare, ha una bella scrittura ed è ordinata. Non sembra molto interessata, reagisce pochissimo, le faccio ripetere gli schemi che abbiamo fatto e sono costretto a improvvisare dei fill in the gap orali: “Allora, l’atomo è composto da un… e da una… . Perfetto. Il nucleo a sua volta presenta… con carica… e … con carica…” e così via. Sembra non acquisire concetti semplicissimi e vi confesso che è davvero difficile capire se ha capito o no, se sta seguendo o sta solo compiendo azioni meccaniche (sì, amici insegnanti, se c’è una cosa in cui sono bravi i giovani è far finta di star seguendo, semplicemente replicando e simulando le azioni meccaniche richieste). Io continuo a stuzzicarla, mi inerpico in esempi quotidiani, la prendo in giro che non sa farsi la pasta e che sapersi fare la pasta è fondamentale per capire la chimica, lei sorride ma è molto poco reattiva verbalmente. Parliamo dell’atomo di carbonio, che può instaurare 4 legami covalenti, perché ha sugli orbitali esterni solo 4 elettroni (in realtà la situazione è un po’ più complessa ma non è nel programma) mentre dovrebbe averne 8. “Perché 8?”. Mi giro dalla lavagna meravigliato, ho sentito qualcosa senza che ci fosse un mio stimolo diretto. La guardo perplesso, come si guarda un gatto che ha fatto un verso strano, non suo. “Come scusa?” “Perché deve avere 8 elettroni?”. Miseriaccia, sei stata zitta tutto il tempo e ora dobbiamo fare una lezione di fisica quantistica? Sono felice di spiegarle perché sono 8, per quel poco che le posso spiegare, lei sembra aver capito. Sono contento. Mi ha fatto una domanda. Qualsiasi domanda faccia uno studente è una vittoria dell’insegnante. Sempre e comunque. Anche se siamo di fronte a una maestra della simulazione di azioni meccaniche, e ti rimane il dubbio che quella domanda fosse un’altra delle sue strategie per passare indenne la lezione, senza troppi sbattimenti. Anche fosse così, simulare interesse è una delle tante abilità che tanto, prima o poi, vanno imparate.

Eugenio. Primo anno dell’agrario. Il ragazzo con disabilità. Che disabilità? Non si sa, la mamma non l’ha detto, anzi, la mamma non aveva nemmeno detto che aveva una qualche disabilità, solo aiuto per i compiti. Non sono ancora in confidenza per approfondire. Lo conosco, non riesco a capire se è autistico o se ha la sindrome di Asperger o chissà cos’altro. Sembra problematico in ogni caso (come se non lo fossimo tutti, problematici). Indago, chiacchieriamo, gli chiedo le materie preferite, chimica dice. Ammazza, chimica!, e cosa di chimica? I modelli atomici. Spiegameli. Me li spiega alla perfezione, fino a quello di Bohr, parlando anche di “orbitali”. Fa il primo anno dell’agrario e dovrebbe essere problematico. Facciamo italiano, per l’estate deve fare una sorta di test Invalsi. Ci scontriamo con la schematicità e la fissità della lingua proposta dal test. “Come sostituiresti il verbo dare nella frase “Gli hanno dato l’Oscar?”. Ci sono sia “assegnare” che “attribuire”. Vanno bene tutti e due, dice. Sì, vanno bene tutti e due. Ci ritroviamo nella giungla degli antonimi (i contrari) che il libro e il test ci presentano come “complementari” (quando si escludono: vivo o morto), “graduabili” (quando c’è una scala: dolce, poco dolce, né amaro né dolce, poco amaro ecc.) e “inversi” (quando la presenza di uno implica l’altro: sopra/sotto, marito/moglie). Ma una cosa può essere “molto sopra” rispetto a un’altra, o “poco sotto”, dice lui. È vero, dico. La lingua incasellata in categorie ridicole spesso pensate solo per la lingua scritta mi fa pensare, nella giornata di oggi, che un po’ lo stesso avviene nel rapporto di “insegnamento”. Ogni persona è diversa, IL metodo è un’approssimazione, comoda certa, ma un’approssimazione, e bisogna ricordarselo quando si valuta negativamente l’apprendimento di qualcuno. Il non incontrarsi nel metodo è la norma, non l’eccezione. Chiunque può avere problemi con qualsiasi metodo. Per ogni persona dovrebbe esserci un metodo.

Colloquio orale

Guida alla nuova Maturità 2019 – Colloquio Orale

Dopo aver parlato degli scritti (prima prova, seconda prova: classico, scientifico, linguistico), non ci resta che spostarci sul nuovo colloquio orale, la novità su cui aleggia più mistero, anche perché non sono state fatte simulazioni né sono stati forniti esempi (effettivamente complesso, ma uno sforzo in più si sarebbe potuto fare).

Partiamo innanzitutto dal fatto che, rispetto agli scorsi anni, l’orale varrà meno punti: come già avevamo anticipato è infatti passato dai 30 ai 20 punti. L’altra grande novità è che non sarà più prevista la tesina/mappa concettuale o più in generale il percorso multidisciplinare preparato dallo stesso studente e presentato al colloquio. Da una parte questo è un bene, perché la tesina, soprattutto negli ultimi anni, si era ridotta a un accrocco di temi tenuti assieme da labili connessioni tra le diverse discipline o si configurava come la riproposizione di quegli argomenti che permettevano più connessioni tra le materie (migliaia di tesine ogni anno sul relativismo!). D’altra parte, non concedere allo studente la possibilità di approfondire un argomento, anche di una singola disciplina, nello spazio concesso dalla preparazione alla maturità, non è da lodare: è l’ultimo anno prima dell’università ed è una delle poche occasioni per misurarsi con lo studio e l’organizzazione al di fuori del programma scolastico. A precise condizioni non si sarebbe comunque potuta tenere come opzione facoltativa?

Ma vediamo come sarà strutturato il misterioso orale (il 6 maggio è uscito un documento esplicativo del MIUR). Il colloquio partirà dalla ormai celebre estrazione di una busta tra tre proposte e ogni busta avrà un materiale*: testi letterari, brani di articoli di giornale, opere d’arte, foto, tabelle, riferimenti a progetti o esperienze svolte durante l’anno e chi più ne ha più ne metta. A partire da ciò che uscirà, lo studente dovrà sviluppare le suggestioni derivate dal documento in un discorso personale, per gran parte improvvisato (e questo lascia un po’ perplessi: quando mai ci si ritrova in un contesto del genere? Non sarà più frequente, negli anni successivi, preparare un discorso?), cercando di toccare più discipline e i temi trattati durante l’anno. Sottolineo “discorso personale”, dato che nei documenti redatti dal MIUR si insiste molto sul fatto che questa parte dell’orale non dovrà essere costituita da una sequenza di domande della Commissione e dovrà essere diversa dalla tradizionale interrogazione.

Dopo questa parte, dovrà essere presentata una relazione (scritta, orale o multimediale) sulle attività legate ai “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento” (ricordate l’Alternanza Scuola Lavoro? Oggi si chiama così), ma non è dato sapere se la relazione scritta verrà letta o meno: probabilmente no, mentre fondamentale sarà l’esposizione orale. Poi, ci sarà la parte dedicata a “Cittadinanza e Costituzione”, che in futuro verterà sugli argomenti trattati nell’integrazione di ore di Educazione Civica e che per quest’anno avrà probabilmente come temi i progetti svolti dalle quinte durante l’anno scolastico. Infine, un piccolo spazio sarà dedicato al commento delle prove scritte.

Come prepararsi a questo nuovo orale? Sicuramente, servirà un ripassone generale delle materie d’esame su tutto il programma dell’anno scolastico, per avere più frecce a disposizione quando si dovrà improvvisare un discorso di fronte al contenuto della busta; poi, forse sarà necessario un lavoro di diplomazia con i membri della commissione interni, almeno per farsi un’idea di quello che potrebbe capitare nelle buste e non arrivare totalmente impreparati. Per via di questa componente aleatoria di cui ancora non sappiamo bene la portata, varrà la pena prepararsi bene anche sulle altre tre fasi del colloquio: preparare una sintetica e ineccepibile relazione sull’Alternanza Scuola Lavoro, studiare a fondo gli argomenti previsti per Cittadinanza e Costituzione e soprattutto gli argomenti delle prove scritte, verificando da sé e con i propri compagni la correttezza delle proprie prove, per conoscere in anticipo eventuali domande che potranno essere poste dalla Commissione: individuare da soli errori fatti mette sempre in un’ottima luce.

*La Commissione d’Esame preparerà tante buste quanti sono gli studenti della classe più altre due buste, per permettere la scelta anche all’ultimo esaminando. I materiali dentro le buste saranno scelti sulla base delle indicazioni fornite dal Consiglio di Classe nel documento sul programma e le attività svolte inviato prima del 15 maggio.

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Laudes, in occasione della nuova maturità 2019, ha deciso di pubblicare a cadenza regolare una guida per l’esame, in cui verranno analizzate le prove svolte finora nelle simulazioni: seguiteci su Facebook e sul blog per ricevere aggiornamenti sui post di approfondimento che pubblicheremo in questi giorni.

Ma non solo: anche quest’anno abbiamo attivato corsi di preparazione alla maturità con i nostri migliori docenti. Quest’anno sarà ancora più importante arrivare pronti, rilassati e preparati. Per qualsiasi informazione sui corsi di preparazione alla nuova maturità potete cliccare qua.

Tema ironico

Guida alla nuova Maturità 2019 – Prima Prova

Per quanto gran parte dell’attenzione sulla nuova maturità sia focalizzata sulle seconde prove (che hanno subito grossi rivolgimenti, come vedremo nei prossimi giorni), sull’assenza della terza prova e sul nuovo procedimento per gli orali, forse non tutti sanno che anche la prima prova è cambiata un bel po’. Le simulazioni fatte il 19 febbraio e il 26 marzo ci consentono di fare una prima valutazione, anticipando che il giudizio è positivo per gran parte dei cambiamenti.

Partiamo dalla prima tipologia, quella dell’analisi del testo. La tipologia comprende, a scelta dello studente, un testo di prosa e un testo di poesia relativi alla letteratura studiata l’ultimo anno (finora sono usciti Montale, Pascoli, Morante e Pirandello): includere due opzioni invece di una ci sembra un’ottima innovazione, che riduce l’aleatorietà della tipologia. La prova, come negli anni passati, è suddivisa in due parti, una di analisi e comprensione, l’altra di produzione di un testo informativo e argomentativo, che ruota attorno al tema principale del brano, in cui viene invitato lo studente a fare confronti con altri autori e brani che affrontano lo stesso argomento. A differenza degli anni scorsi, viene anche data la possibilità di svolgere la prima parte scrivendo un unico testo al posto delle risposte alle singole domande: da una parte, è più difficile strutturare le risposte in un testo continuo e coeso, dall’altra dà più strumenti allo studente per “cavarsela” nel caso abbia poco da dire nelle risposte ad alcune domande (concentrandosi magari su altre). Tuttavia, bisognerà anche vedere come sarà valutata la scelta: a parità di informazioni fornite, lo studente che strutturerà le risposte in un unico testo avrà una valutazione migliore?

La seconda tipologia, quella informativo-argomentativa, è quella che ha subito più stravolgimenti, tutti molto interessanti. Innanzitutto, ci sarà solo un testo, e non l’usuale collage di brani: sono state accolte le critiche di chi diceva che i testi forniti per il saggio breve erano troppo brevi, decontestualizzati e per questo poco caratteristici per la tipologia informativo-argomentativa. Un testo più lungo, come quello della prova attuale, è più rappresentativo e permette di seguire un ragionamento più complesso. Anche le richieste sono molto diverse dal passato: una parte è dedicata a domande sulla comprensione (anche molto specifiche sul lessico e sui connettivi usati) e al vituperato riassunto: purtroppo nell’ultima simulazione del 26 marzo una delle proposte per questa tipologia non aveva come richiesta il riassunto, quindi non possiamo dire con certezza se ci sarà sempre. In ogni caso, l’inserimento di una parte di verifica sulla comprensione obbligherà a dedicare maggiore tempo, durante il percorso scolastico, proprio alla comprensione di testi informativo-argomentativi (ottimo!) e alla produzione di tipi di testo che affinano la scrittura in generale, come i riassunti (ottimo!), oltre a consentire una valutazione più razionale e distinta per competenze in sede d’esame.

Infine, nella seconda parte viene richiesta naturalmente la produzione di un testo a partire dagli spunti del brano riportato e dalle tematiche proposte dalla traccia, con la richiesta esplicita di “coesione e coerenza” (concetti che forse ora cominceranno a essere introdotti nella didattica per forza di cose). Insomma, questa nuova tipologia sembra una via di mezzo tra il classico tema scolastico e il vecchio saggio breve: si dà maggiore libertà allo studente in sede di produzione (attenzione: questo non vuol dire che è più semplice, anzi) mentre vengono introdotti paletti per quanto riguarda la comprensione, attività che finora non era mai entrata nell’esame di stato.

La tipologia C è quella di cui francamente non si capisce molto il senso, pur essendo praticamente uguale al tema degli anni passati: essendo l’unica tipologia che non presenta esplicitamente domande o richieste sulla comprensione, sembra essere stato concepito come refugium peccatorum, una boa di salvataggio, da una parte, per lo studente che ha difficoltà con le prove precedenti (soprattutto per quel che riguarda la comprensione del testo) dall’altra, per il docente che non ha la voglia/possibilità di affrontare durante il triennio un percorso legato alla comprensione e alla scrittura di testi non letterari. Invece, se la tipologia voleva essere una possibilità per quegli studenti più creativi e inventivi, a cui le maglie del discorso argomentativo stanno strette, allora non si è fatto abbastanza, visto che sempre un testo informativo-argomentativo viene chiesto. Inutile far notare che la tipologia C, senza paletti, senza distinzione delle competenze e che lascia molta libertà allo studente è in realtà molto più difficile delle altre due: diventa “più semplice” in fase di valutazione, proprio perché la mancanza di paletti e richieste esplicite consente ai docenti di essere di manica più larga.

Insomma, a parte la tipologia C, sostanzialmente invariata, la prima prova sembra decisamente migliorata, soprattutto perché la distinzione delle competenze (dalla comprensione alla stesura di un testo originale) permette di impostare un percorso didattico più razionale e utile rispetto al passato, consentendo di concentrarsi esplicitamente su tutti gli aspetti della lingua scritta, dalla lettura alla stesura. Nelle prossime settimane sottolineeremo questi aspetti e daremo qualche indicazione per affrontare la prima prova.

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Laudes, in occasione della nuova maturità 2019, ha deciso di pubblicare a cadenza regolare una guida per l’esame, in cui verranno analizzate le prove svolte finora nelle simulazioni: seguiteci su Facebook e sul blog per ricevere aggiornamenti sui post di approfondimento che pubblicheremo in questi giorni.

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Guida alla nuova Maturità 2019

Quest’anno tutti i riflettori sono sulla nuova maturità: l’esame di stato è infatti cambiato, e non poco, sia come strutturazione sia nelle singole prove (ce ne siamo già occupati qua). Naturalmente, il primo anno di un nuovo ciclo è quello che preoccupa di più, non essendoci esempi concreti dagli anni passati: per questo il MIUR ha organizzato delle simulazioni (che trovate qua) per la prima e la seconda prova, mentre rimaniamo ancora in attesa di esempi dei materiali di partenza dell’orale (qualche informazione aggiuntiva è stata data qualche giorno fa).

Ricordiamo i principali cambiamenti: la prima prova (che si svolgerà il 19 giugno) non avrà più il saggio breve ma un testo argomentativo da commentare e uno da produrre, le seconde prove (20 giugno) comprenderanno più materie di indirizzo (ad esempio greco e latino per i classici, fisica e matematica per gli scientifici), non ci sarà la terza prova e il colloquio orale prevederà l’estrazione di un argomento di partenza, una relazione sull’alternanza scuola lavoro e domande di educazione civica.

Laudes, in occasione della nuova maturità 2019, ha pubblicato una guida per l’esame, in cui sono state analizzate le prove svolte finora nelle simulazioni: seguiteci su Facebook e sul blog per ricevere altri aggiornamenti sulla Maturità 2019.

Prima prova: https://www.laudes.it/2019/05/guida-alla-nuova-maturita-2019-prima-prova/

Seconda prova – scientifico: https://www.laudes.it/2019/05/guida-alla-nuova-maturita-2019-seconda-prova-scientifico/

Seconda prova – classico: https://www.laudes.it/2019/05/guida-alla-nuova-maturita-2019-seconda-prova-classico/

Seconda prova – linguistico: https://www.laudes.it/2019/05/guida-alla-nuova-maturita-2019-seconda-prova-linguistico/

Colloquio orale: https://www.laudes.it/2019/05/guida-alla-nuova-maturita-2019-colloquio-orale/

Ma non solo: anche quest’anno abbiamo attivato corsi di preparazione alla maturità con i nostri migliori docenti. Quest’anno sarà ancora più importante arrivare pronti, rilassati e preparati. Per qualsiasi informazione sui corsi di preparazione alla nuova maturità potete cliccare qua.

Piccola apologia dell’errore

Se facessimo un sondaggio su quale colore rappresenti meglio la scuola, con ogni probabilità il più votato sarebbe il rosso. Rosso come il tratto di penna, matita, pennarello che in genere evidenzia l’errore fatto nel compito in classe. Il rosso è un colore come tanti, con connotazioni positive e negative a seconda del contesto (il sangue ma anche l’amore), ma state certi che la prima cosa che si prova a sbirciare quando sta per venire riconsegnato un compito è la densità di rosso, che denoterà la quantità di errori, e di conseguenza il voto.

La scuola è il regno degli errori, anzi, la scuola esiste proprio per gli errori. Eppure, l’errore viene generalmente considerato come l’anormalità, piuttosto che la normalità: l’errore è odiato, temuto, evitato nelle maniere più disparate (dal copiare il compito al compito in bianco: meglio bianco che rosso, si penserà); l’errore provoca vergogna e imbarazzo nei confronti della classe e del professore, e la paura di errare porta al blocco, alla chiusura, al non intervenire, al non interagire. Sarà anche per l’uso che se ne fa al di fuori della scuola: indicare un errore nelle attività altrui ci pone in una posizione di superiorità, in qualche modo quindi ci gratifica, tanto quanto può mortificare (e chiudere) chi viene colto in fallo.

Ma torniamo alla scuola. Dicevamo che l’errore viene considerato l’anormalità: etimologicamente è così, “errare” è vagare senza una meta, ma ancora prima, in latino, era “sbagliare strada”. C’è una strada giusta, normale, e ce ne sono infinite sbagliate, anormali. Ma in un contesto didattico la normalità diventa anormalità e viceversa. Se si sta imparando è impossibile non sbagliare: sbaglia chi insegna, figuriamoci quanto può sbagliare chi sta imparando. Io, l’altro giorno, preparando un seminario sull’errore linguistico (la mia prospettiva è quella di un docente di italiano), mentre prendevo qualche appunto personale per impostare il discorso, ho scritto “sfalzare”, con la z (ecco il correttore che me lo segna col rosso infame): preso tra i mille pensieri su cui stavo ragionando, mi sono perso la connessione tra “sfalsare” e “falso”, e l’ho scritto così, come lo pronuncio. Insomma, l’errore non per forza denota ignoranza: soprattutto quando si scrive, il nostro cervello gestisce così tante attività contemporaneamente che ogni tanto si perde qualche pezzo.

Ma non prendiamoci in giro: l’errore il più delle volte indica una mancanza, una carenza, un dominio non completo dell’argomento o dell’attività. Per insegnante e studente l’errore è il punto di partenza: ti spiego una cosa, tu sbagli, ti spiego dove hai sbagliato, cosa hai sbagliato, quale norma è stata violata (o quale uso standard è stato violato, nel caso delle parole), cosa fare per non incorrere nello stesso errore. Tu sbaglierai di nuovo, io spiegherò di nuovo, restringendo sempre più il campo. Dal blocco di marmo si ricava la statua dalle sembianze reali, ma la statua, nel mentre, è passata per tanti momenti in cui è stata un coso-senza-forma, un obbrobrio senza qualità riconoscibili: intervenendo qua e là, piano piano, una zona per volta… ecco vedi, quello è il naso, quelle sono le orecchie, quello è il braccio, e quella la mano che tiene un sasso.

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L’errore è traumatico. Frustra il professore, convinto della perfezione della sua spiegazione, della linearità delle regole che ha esposto; frustra lo studente, eppure le regole le sapeva: cos’altro deve fare per accontentare il professore? Perché l’esercizio non viene? Perché il tema è scritto male?

Evitiamolo, questo trauma, perché l’errore è il fulcro della didattica (esiste addirittura una pedagogia dell’errore). Solo attraverso gli errori, l’insegnante può capire se la lezione è stata compresa, se le indicazioni sono state acquisite. No? Perfetto, proviamo in un altro modo, con altre parole; solo attraverso gli errori, lo studente si sporca le mani, ricorderà la regola per le numerose volte in cui l’ha violata. Negli anni universitari usavo “riguardo” senza la preposizione: “Riguardo questa cosa, volevo dirti ecc.”, e il prof. Serianni ogni volta mi correggeva “riguardo A questa cosa”: in maniera molto neutra e netta, numerose volte; tanto ho sbagliato che non ho più sbagliato, e ancora mi risuona (come competenza, per quanto minima, non come trauma) quella preposizione “a” detta con maggiore intensità.

È un episodio di scarsissima rilevanza, ma mi ricorda ogni volta che così si acquisiscono le competenze: solo scalpellando scalpellando, di qua e di là, alla fine si può ottenere un bel naso.