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Cattedrale digitale

Riconquistare la complessità e costruire cattedrali

Uno dei principali problemi educativi contemporanei è la distanza tra la cultura del libro – caratterizzata da testi lunghi e complessi, che richiedono un’attenzione prolungata – e l’attuale cultura digitale, popolata da contenuti brevi e semplici, spesso scollegati tra loro. Di fronte a questo, qual è il compito della scuola? La risposta può venire da un bel libro di Gino Roncaglia: L’età della frammentazione – Cultura del libro e scuola digitale. Un libro che riesce a descrivere molto semplicemente l’attuale paradigma comunicativo digitale e che offre numerosi spunti, teorici e pratici, su quello che possiamo fare in quanto docenti ed educatori.

“All’idea di selezione e scelta volontaria di contenuti complessi e articolati (un libro, un film, un disco), ai quali dedicare un’attenzione protratta e insieme protetta dall’assalto di altri contenuti, si sostituisce l’impressione che sia l’informazione a inseguirci, e che lo faccia in forme assai più varie, frammentate, disordinate di quanto non avvenisse in passato.

Le interconnessioni ci sono, in forma di link e rimandi, in forma di intertestualità, in forma di flussi informativi separati e riconoscibili, ma capaci di integrazione; sono però così diversificate e numerose da consentirne solo una fruizione non pienamente controllata e spesso casuale. Persi in un negozio ricco di un’infinita varietà di coloratissime caramelle informative, diminuiscono le competenze legate alla produzione di piatti elaborati e di menù completi.

Leggere un libro diventa un’azione – letteralmente – troppo impegnativa: richiede risorse di tempo e di attenzione superiori a quelle di fatto disponibili.

Questa situazione pone al sistema formativo – in modi completamente nuovi e con forza assai maggiore – un compito trasversale impegnativo: quello di ‘digerire’ la frammentazione e la dispersione dell’informazione e di elaborarla; quello di utilizzare i contenuti molecolari anche – anzi, soprattutto – per costruire strutture informative via via più complesse; in una parola, quello di superare la frammentazione e riconquistare la complessità.

In una situazione in cui le strategie tradizionali di riconoscimento, comprensione, costruzione della complessità (prevalentemente lineare e testuale) del passato non bastano più, occorre fornire le competenze necessarie per produrre, comprendere e gestire la complessità in nuove forme e attraverso nuovi strumenti. Ed è esattamente questo il primo e principale bisogno trasversale al quale il nostro sistema scolastico e formativo dovrebbe oggi rispondere.

I giovani che dobbiamo formare hanno incontrato il digitale nell’età della granularità e della frammentazione, nell’età dell’artigianato e del commercio, e devono cominciare a costruire cattedrali.”


Tullio De Mauro e la lingua italiana a scuola

“Le istituzioni dello stato italiano, e anzitutto la scuola, che è l’istituzione più diffusa capillarmente in tutto il territorio, hanno ignorato questa grande vareità di lingue, hanno ignorato il plurilinguismo che caratterizza la storia e la cultura contemporanea della società italiana.


Lo hanno ignorato, anzi lo hanno contraddetto: pretendendo d’insegnare dovunque, dappertutto, nello stesso modo, una stessa lingua, cioè l’italiano letterario.


Al bambino che dalla Puglia si sposta a Torino, portandosi dietro come unico bagaglio culturale il suo dialetto, la scuola non può pretendere di insegnare l’italiano come se l’italiano già gli fosse noto, per un problema politico di tutela ai diritti civili, e per un problema di politica della cultura: se vogliamo che [i bambini] arrivino al termine degli studi noi dobbiamo avere delle maestre e dei maestri capaci di riconoscere, di apprezzare, la realtà linguistica familiare di questi bambini e costruire su di essa, con essa, la conoscenza dell’italiano e delle altre lingue di cultura.


Parole del ’70 che suonano ancora molto attuali, nell’Italia contemporanea, fatta di varietà linguistica e numerose varietà linguistiche. Riaprire la sterminata produzione di Tullio De Mauro su educazione linguistica e pedagogia offre continui spunti, riflessioni e idee per una scuola più equa, funzionale e democratica.


Intanto potete partire da questa mezz’oretta di Wikiradio dedicata a Tullio De Mauro, e curata da Daniele Gambarara: una bella (e piccola) biografia, che parla tanto anche del De Mauro intellettuale e ministro dell’Istruzione.

La trovate su RaiPlaySound: cliccate qui

Didattica a Distanza uno a uno

Come tutti quelli che hanno a che fare con l’educazione, anche noi ci siamo trovati a dover affrontare, all’improvviso, una situazione nuova. In queste settimane tanto è stato scritto sulla didattica online, sull’impegno degli e delle insegnanti, sulle carenze del nostro sistema scolastico, sugli strumenti, sulla difficoltà, in tanti contesti, di poter fare lezione.

Nulla è invece stato detto su un’altra forma di insegnamento che ogni giorno aiuta moltissimi studenti ad affrontare il proprio percorso scolastico e formativo in senso lato: l’insegnamento uno a uno, o in altre parole, le “ripetizioni”. E allora, visto che questo è l’ambito in cui siamo esperti, vorremmo condividere con voi (insegnanti, genitori e alunni) alcune considerazioni sulla didattica a distanza uno a uno, mettendo in risalto proprio quegli aspetti relazionali e personali che purtroppo, nel contesto classe, vengono spesso trascurati, per limiti principalmente strutturali e a maggior ragione in questi giorni in cui la didattica è affidata a una comunicazione spesso precaria.

La persona, innanzitutto

Uno dei vantaggi dell’insegnamento uno a uno è il potersi concentrare su un approccio relazionale e quindi sul benessere degli studenti e delle studentesse. Il mezzo digitale, che in questi giorni di quarantena è l’unica cosa che tiene noi e i nostri studenti connessi al mondo esterno, è fortemente carente riguardo a quella possibilità intima di calore umano e di empatia che dà profondità alle relazioni educative e rende l’apprendimento significativo. Per questo motivo, è importante cercare di compensare questa assenza fisica con una maggiore presenza emotiva.

Innanzitutto, è importante chiedere, sempre, ai ragazzi e alle ragazze come stanno, cosa sentono, come trascorrono le loro giornate, come vivono la “familiarità forzata”, se riescono a studiare, a concentrarsi, a rilassarsi, a svagarsi, se hanno un luogo in cui rifugiarsi, in cui sfogarsi. Non sottovalutiamo il loro stato mentale ed emotivo: ripensiamo a cosa avrebbe significato per noi adulti, a 15 anni, trascorrere venti giorni in casa con genitori e fratelli, magari senza avere una stanza solo per noi. Quindi, per prima cosa, è importante prendersi più tempo per parlare con tranquillità, per la semplice chiacchiera, e soprattutto per l’ascolto. È anche l’occasione per aprirsi un po’ con gli studenti, magari facendogli vedere la nostra casa, la nostra stanza, gli oggetti a cui teniamo o le passioni che condividiamo con loro (chitarra, libri, CD, fumetti, ecc.): tendenzialmente sono curiosi di sapere di più sull’insegnante, e questo può facilitare la relazione.

Stavi guardando Youtube o era la tua sorellina che urlava?

Anche se l’assenza di spostamenti, di fatto, alleggerisce il lavoro, questo alleggerimento è compensato da uno sforzo maggiore nell’attività di insegnamento: inutile prendersi in giro, insegnare a distanza è più faticoso e richiede più concentrazione. È infatti facile distrarsi a casa, al computer, per gli insegnanti e per gli studenti, e a volte è difficile capirlo, visto che online abbiamo meno informazioni sul contesto (psicofisico e ambientale) dello studente. Laudes ha due sedi, e molte delle lezioni avvengono in sede: chi non fa lezione a domicilio cosa sa dell’ambiente domestico degli studenti? Hanno una scrivania, condividono la stanza con fratelli o sorelle, ci sono neonati urlanti, genitori che interrompono ogni cinque minuti? E allora, naturalmente con discrezione e senza essere invadenti, possiamo chiedergli di accompagnarci, nella loro quotidianità, aiutandoli, magari a trovare anche in casa loro uno spazio di apprendimento.

Il miraggio del 6 politico

Anche in presenza, il problema dello studio – almeno in 3 casi su 4 – è la motivazione. Ecco, in questo momento, in cui c’è una forte incertezza per quel che riguarda il futuro dell’anno scolastico, alcuni studenti possono avere difficoltà nel trovare la spinta giusta.

Per alcuni, in realtà, l’allentamento degli obblighi e dello stress scolastico può creare una buona situazione per l’apprendimento e bisogna sfruttarla: alcuni nostri studenti non sono mai stati così concentrati, attivi e propositivi come in questo periodo.

Per altri, l’interrogazione o il compito sono i principali motori dello studio, e ora sembrano assai remoti o, magari, possono essere svolti on line con il libro comodamente davanti: perché mai dovrebbero studiare? Ci siamo posti questa domanda in tanti e diversi modi nel corso degli anni, ben prima di tutte le questioni connesse alla mediazione digitale. La risposta che ci siamo dati è che la motivazione consegue principalmente a una scelta personale e a un’adesione interna; non possiamo immaginare di avere un’unica carota da sventolare davanti a tutti. Quello che possiamo fare, però, è da una parte agevolare il processo maieutico che favorisce la motivazione (come? parlando e ascoltando, ovviamente), dall’altra rendere lo studio interessante, avvincente e – non dimentichiamolo mai – sfidante. La sfida, quando calibrata per non essere troppo semplice né frustrante, è la migliore alleata dell’apprendimento. Per fare tutto questo, però, è necessario uno sforzo ulteriore nella preparazione e/o nella conduzione degli incontri educativi. Uno sforzo creativo.

Distance learning

Parlo io parli tu?

Tutto ciò che abbiamo scritto, lo sappiamo bene, deve confrontarsi con la realtà materiale dei fatti: connessioni che sfarfallano, tecnologia non sempre performante, installa quel programma, apri i compiti sul registro, mandami le foto del libro, etc. Non vogliamo ora soffermarci sugli strumenti migliori, magari dedicheremo un altro post a questo, ma intanto ci sono alcune questioni di ordine generale. Innanzitutto, anche se sembrerà banale dirlo, bisognerebbe evitare il più possibile di usare il solo audio: il contatto visivo, anche quello più sgranato, è comunque funzionale alla comunicazione e all’attenzione. Anche il telefono, per lo schermo piccolo e le ridotte funzionalità su certe piattaforme, è uno strumento da usare solo quando non ci siano altre possibilità. Cerchiamo sempre di parlare lentamente, separando le parole e scandendole bene, per compensare i piccoli disturbi della linea. È anche importante, sempre per quanto riguarda i disturbi del canale, fare attenzione nella gestione del turno di parola: la sovrapposizione digitale è molto più antipatica di quella analogica, in presenza. Poi, farsi trovare pronti e preparati è una manifestazione evidente della cura che abbiamo per la relazione. È utile sapere, con un po’ di anticipo, che argomento dovranno affrontare, quali compiti devono fare (magari facendoseli mandare prima), insomma bisogna cercare di avere prima della lezione tutti i dati di cui abbiamo bisogno per essere preparati, scegliere accuratamente gli strumenti adatti e far filare l’incontro il più liscio possibile. Inoltre, è importante, per quanto possibile, fare anche attenzione al setting in cui si condurrà la lezione, l’ambiente che ci circonda e che comparirà sullo schermo dello studente: curare le luci e cosa abbiamo dietro di noi. È piacevole ascoltare un insegnante che parla con un muro bianco dietro, nell’oscurità?

Poi, un’ultima premura: probabilmente gli studenti usano già alcuni strumenti e piattaforme per la scuola, perciò bisognerebbe evitare di chiedere loro di moltiplicare gli accessi, rischiando così di indurli in una confusione maggiore. Chiediamo loro cosa già conoscono e sanno usare, mediando rispetto alle nostre esigenze. Non dimentichiamo anche che tutte le competenze digitali che siamo o saremo in grado di fargli acquisire in questo momento sono competenze spendibili in altri contesti e che quindi costituiscono una parte importante della nostra azione educativa.

Stare seduti è stancante

Last but not the least, le lezioni on line, per tutti questi motivi, sono spesso più stancanti per i docenti, quindi consigliamo di prendere almeno 15 minuti di pausa tra l’una e l’altra. Ma sono stancanti anche per gli studenti, che magari già stanno seguendo numerose videolezioni di fronte allo schermo: vista l’assenza di perdite di tempo legate agli spostamenti, sempre valutando bene da caso a caso, si può rimodulare la durata degli incontri: due ore consecutive? Due lezioni da un’ora l’una in due diversi pomeriggi della settimana? Tre lezioni da mezz’ora? Un supporto costante per 20 minuti al giorno? A voi, insegnanti e studenti, la valutazione!

Paulo Freire – L’umiltà dell’insegnante

“Io penso che un insegnante che si glori di sé stesso, che prenda le distanza dall’alunno, come se si sentisse un sole che illumina l’allievo senza luce, anche se è competente nella sua materia, dimostra di essere incompetente dal punto di vista umano”.

Paulo Freire (Recife 1921 – San Paolo 1997) è stato un grande educatore pedagogista brasiliano, autore di importanti testi come “La pedagogia degli oppressi” e “L’educazione come pratica della libertà”.

L’intervista completa “Le virtù dell’insegnante”, in cui Freire si sofferma su alcune delle qualità che dovrebbe avere un educatore, la potete trovere sul sito di Rai Scuola.

Peter Tabichi (Kenya) vince il Global Teacher Prize 2019

Il 23 marzo 2019 è stato assegnato il quinto Global Teacher Prize, il premio al “miglior insegnante del mondo” organizzato dalla Varkey Foundation. Il vincitore è un insegnante kenyano, Peter Tabichi, frate francescano che insegna alla Keriko Mixed Day Secondary School, in una regione della Rift Valley.

Come si sa, il premio viene assegnato a docenti che lavorano in contesti in cui l’insegnamento e la frequentazione scolastica sono resi difficili dal contesto socio-economico (problemi che non riguardano solo nazioni poco sviluppate, gli scorsi anni è stato assegnato anche a docenti che lavorano in Canada, Stati Uniti o Regno Unito). Contesti in cui la bravura e l’impegno di un insegnante possono fare davvero la differenza.

Il contesto in cui insegna Peter Tabichi, insegnante di Scienze, è condizionato non solo dall’estrema povertà, ma anche da un quadro sociale fortemente eterogeneo, con ragazzi di diverse etnie e religioni. A questo si aggiungono naturalmente tutti i problemi legati a contesti in cui l’istruzione è poco sviluppata: ci sono 58 studenti per ogni insegnante, e alcuni ragazzi fanno fino a 7 km a piedi per raggiungere la scuola (scuola che ha un solo computer e una connessione a internet diciamo traballante).

L’insegnante kenyano, oltre a dedicare l’80% del suo stipendio all’aiuto dei ragazzi più poveri, si è concentrato in particolare sul gruppo di scienze, aiutando gli studenti nella preparazione di progetti scientifici (di cui il 60% ora viene selezionato per competizioni internazionali), incentrati soprattutto sul nutrimento e sul problema della siccità. Inoltre, con altri colleghi ha attivato un servizio di insegnamento uno-a-uno per matematica e scienze, rivolto soprattutto agli studenti con risultati meno positivi, che viene svolto spesso a domicilio e durante il weekend.

I risultati sono straordinari: in tre anni le iscrizioni alla scuola sono raddoppiate, la scuola è prima nelle graduatorie delle scuole pubbliche kenyane, i casi di cattiva condotta sono passati da 30 a 3 all’anno. Non solo: una squadra della scuola è stata selezionata per partecipare alla Fiera Internazionale della Scienza e dell’Ingegneria che si terrà a maggio a Phoenix, in Arizona (USA).

“Dall’Africa usciranno gli scienziati, ingegneri, imprenditori che saranno un giorno famosi in ogni angolo del mondo. E le ragazze saranno una parte enorme di questa storia.” ha detto Tabichi. Con insegnanti così non sarà difficile.

Studente annoiato durante l'esame di maturità

Nuova Maturità 2019 – Doppia materia nella seconda prova

Oggi è stato annunciato dal ministro Bussetti che nella Maturità 2019 la seconda prova sarà composta da due materie caratterizzanti e che questo varrà per tutti gli indirizzi scolastici. Il decreto ministeriale uscito oggi lo trovate qua.

Ci saranno quindi latino-greco per il classico, matematica-fisica per lo scientifico, ma non solo: gli istituti tecnici per il turismo avranno “discipline turistiche e aziendali” e “inglese” ; il liceo delle scienze umane avrà “scienze umane” e “diritto ed economia politica”; gli istituti tecnici con indirizzo informatica avranno “informatica” e “sistemi e reti”; mentre l’istituto professionale per i servizi di enogastronomia avrà “scienze degli alimenti” e “laboratorio di servizi enogastronomici”. La lista completa potete trovarla qua.

A compensare il maggior carico di studio in vista della seconda prova, Bussetti ha anche promesso che le prove saranno “più semplici” rispetto agli anni passati.

Un’altra novità molto importante (visto che per questa maturità mancavano modelli di prove con cui esercitarsi) è l’introduzione di simulazioni nazionali dell’esame organizzate dal MIUR. Queste le date:

Prima prova scritta: 19 febbraio e 26 marzo
Seconda prova scritta: 28 febbraio e 2 aprile

Infine, indicazioni anche sull’orale: le commissioni  prepareranno come ogni anno i materiali di partenza e di spunto, tenendo conto del percorso reale svolto dagli studenti e descritto nel documento che i consigli di classe consegnano il 15 maggio e, il giorno della prova, saranno gli stessi studenti a sorteggiare i materiali sulla base dei quali sarà condotto il colloquio.