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La “flat tax” sulle ripetizioni

Come si era saputo già a partire dalle bozze circolate nei mesi scorsi, le lezioni private e le ripetizioni sono entrate nella legge di bilancio per il 2019. Lo hanno fatto con la misura esposta dai commi dal 13 al 16 del primo articolo, battezzata dai giornali come “la flat tax delle ripetizioni”.

Prima di analizzarlo, leggiamo il testo completo dei quattro commi che ci interessano:

  1. A decorrere dal 1° gennaio 2019, ai compensi derivanti dall’attività di lezioni private e ripetizioni, svolta dai docenti titolari di cattedre nelle scuole di ogni ordine e grado, si applica un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali con l’aliquota del 15 per cento, salva opzione per l’applicazione dell’imposta sul reddito nei modi ordinari.

  2. I dipendenti pubblici di cui al comma 13, che svolgono l’attività di insegnamento a titolo privato, fermo restando quanto disposto all’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, comunicano all’amministrazione di appartenenza l’esercizio di attività extra-professionale didattica ai fini della verifica di eventuali situazioni di incompatibilità.

  3. L’imposta sostitutiva di cui al comma 13 è versata entro il termine stabilito per il versamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Per la liquidazione, l’accertamento, la riscossione, i rimborsi, le sanzioni, gli interessi ed il contenzioso ad essa relativi si applicano le disposizioni previste per le imposte sui redditi.

  4. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità per l’esercizio dell’opzione nonché del versamento dell’acconto e del saldo dell’imposta sostitutiva di cui al comma 13.

Andando con ordine, bisogna segnalare prima di tutto un fatto: questi commi riconoscono, all’interno di un documento pubblico di grande interesse generale in ambito economico, l’esistenza di una “attività di lezioni private e ripetizioni”. Un fatto senza dubbio positivo, considerando l’elevato numero di persone coinvolte e la grande mole di denaro mossa da questa attività. Riguardo a tali dati, lo studio citato continuamente è quello condotto nel 2016 da Lorenzo Castellani e Giacomo Bandini per la Fondazione Einaudi (ecco il link per leggere la sintesi dei risultati e le valutazioni finali dei due studiosi), che personalmente trovo molto interessante ma che non prenderei per oro colato, vista la difficoltà di un’indagine del genere: per fare solo qualche esempio, ci sono problemi legati all’anonimato, senza il quale molte famiglie non risponderebbero alle domande, e alla percezione negativa ancora diffusa riguardo ai fruitori di questi servizi, oltre al campione non proprio gigantesco valutato in questa occasione (983 famiglie intervistate) e alla grande variabilità di fattori come i prezzi e il numero di ore necessarie al recupero degli studenti.

Per avere un’idea un po’ più precisa di questo mare magnum, si può leggere un articolo scritto a metà del 2017 da Christian Raimo per Internazionale in cui, tra le altre cose, emerge come Castellani e Bandini potrebbero sottostimare il fenomeno delle lezioni private; i due studiosi, in base ai dati da loro ottenuti, stimano intorno al 50 % l’incidenza delle lezioni private sugli studenti delle scuole superiori, mentre Raimo, a partire dalle proprie esperienze personali e conoscenze, riflette sulle possibilità di alzare questo dato. Dal mio osservatorio privilegiato, posso dire che mi sento in linea con Raimo e che anche secondo me andrebbero alzate le percentuali di incidenza. A far questo, dopo un’indagine condotta con mezzi più imponenti di quelli messi in campo da Castellani e Bandini, dovrebbe essere proprio il ministero dell’istruzione, ma qui si arriva al nodo principale della questione: il disinteresse pubblico, a volerla vedere con occhi benevoli, o peggio l’interesse delle istituzioni a voler lasciare queste attività in una “zona grigia” legislativa.

E difatti, subito dopo il bell’incipit del comma 13, arriva la doccia fredda. Le lezioni private rimangono saldamente tra quelle attività su cui i documenti ufficiali si muovono spesso, quando lo fanno, in modo ambiguo, poco chiaro. Ambiti variegati che comprendono attività lavorative assai differenti, accomunate dall’essere percepite dalla maggior parte delle persone come transitorie, precarie, connotate da scarsa professionalità. Faccio alcuni esempi: le consegne dei riders, cioè dei fattorini; le pulizie domestiche e non solo; i traslochi e le attività di svuotamento di cantine, soffitte, eccetera; i lavori che prevedono servizi di cura e compagnia di vario tipo, da quelli di baby-sitting a quelli per gli anziani.

Perché scrivo questo? Perché al comma 13, subito dopo aver riconosciuto l’attività, si specifica “svolta dai docenti titolari di cattedre nelle scuole di ogni ordine e grado”. Moltissimi di coloro che svolgono questa attività, dunque, rimarranno esclusi dal provvedimento. Vorrei scrivere “la maggior parte”, ma in assenza di studi affidabili (vedi paragrafi precedenti) sarebbe un’affermazione azzardata. Per gli studenti, i docenti universitari, gli ex insegnanti e per qualsiasi altra persona che non insegni in una scuola non cambierà nulla.

Studente coperto dai libri

Ma non è tutto. Oltre al problema appena discusso, che interessa soprattutto chi svolge queste attività, se ne aggiunge un altro che invece interessa l’intera comunità: una misura del genere è utile? Una misura del genere è conveniente a livello economico? Rispondere a questi interrogativi non è affatto semplice.

Sulla carta, la misura rischia di causare un minor gettito fiscale per l’Italia. Difatti, la scarsa percentuale di docenti che già paga le tasse sulle ripetizioni svolte (lo studio Einaudi di cui parlavo prima stima circa il 10 %) pagherà meno, dal momento che passerà da una aliquota progressiva variabile, comunque maggiore, a una “piatta” (di fatto regressiva) del 15 %. Eppure, dalle voci trapelate dai ministeri e dalle dichiarazioni pubbliche, è noto come la misura sia stata voluta in primis dal ministero dell’economia. La motivazione è abbastanza ovvia: la speranza, abbassando la tassazione sull’attività, è quella di spingere all’emersione del lavoro nero.

Come hanno già fatto notare numerosi commentatori sul web, però, la misura potrebbe non essere sufficiente. Mancano incentivi, pur noti, che avrebbero di certo spinto maggiormente all’emersione del nero in questo ambito lavorativo; uno su tutti: la possibilità di detrarre la spesa per le ripetizioni dalle tasse, che avrebbe spinto le famiglie stesse a rivolgersi a chi fornisce fattura o ricevuta, o a richiederla espressamente.

L’Associazione Laudes, come la Fondazione Einaudi e numerose altre realtà che operano in questo settore, chiede da tempo alle istituzioni di approfondire la tematica e di affrontare l’argomento con delle leggi ad hoc. Se la questione non verrà presa di petto dalle istituzioni e ci si limiterà a piccoli escamotage legislativi atti a far cassa, come il presente, difficilmente si risolveranno una serie di questioni legate a questo lavoro che, in vari modi, influenzano anche la fruizione del sistema scolastico da parte di studenti e famiglie.