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Guida alla nuova Maturità 2019 – Seconda Prova Scientifico

Quest’anno gli studenti di quinto liceo scientifico saranno alle prese con una seconda prova mista di matematica e fisica. Si tratta di una novità sostanziosa rispetto agli anni passati, in cui era prevista una prova su un’unica materia – di fatto sempre matematica, in tempi recenti. Si possono scorgere le buone intenzioni del Ministero, che cerca di integrare in maniera armoniosa le due discipline. Personalmente non posso che approvare da questo punto di vista: troppo spesso infatti i due linguaggi risultano paradossalmente scollati, con sfasamenti nei programmi che non vanno di pari passo, nessi storici che non vengono mai evidenziati, e tante altre piccole contraddizioni.

Purtroppo la prova di maturità costituisce solo l’ultimo passo della formazione liceale dei ragazzi e, senza una seria presa di coscienza di tutti i professori e degli studenti stessi, la riflessione resterà circoscritta al “come prepararsi per la prova finale” e non potrà estendersi al “come chiarire e sviluppare il rapporto tra matematica e fisica“, un discorso molto ampio e potenzialmente fruttoso che dovrebbe abbracciare l’intero ciclo scolastico.
Quello che mi sento di consigliare a tutti è tranquillità e fiducia. Sfatiamo lo “spauracchio” del problema di fisica, generalmente considerato più enigmatico di un quesito della Sfinge – non solo dai ragazzi nel doverne trovare la soluzione, ma a volte, anche dai professori nel doverlo spiegare. Sostituirei l’idea di una “soluzione da trovare” con quella di una “situazione da capire“. In questo modo sarà possibile sfruttare appieno la preparazione matematica su studio di funzione, risoluzione di equazioni, calcolo di integrali e quant’altro. Basta fermarsi qualche minuto a considerare che “calcolare una quantità vicino a un certo punto” può essere fatto andandoci con un limite. Pensate che una formula fisica nient’altro è che un’equazione, simile alle centinaia che trovate sul testo di matematica! Solo che la “x” può essere una forza “F”, una carica “Q”, eccetera. Se volete sommare tanti minuscoli pezzettini, un integrale definito può aiutarvi nel compito. E così via…

Come esempio di collegamento tra i programmi di matematica e fisica, consiglio di esaminare il quesito 6 della simulazione ufficiale del 28 Febbraio, magari in classe e con l’aiuto del professore o della professoressa, in cui viene presentato un collegamento interessante tra leggi del moto (cinematica del punto) ed il teorema di Lagrange (calcolo differenziale).

Attenzione perché nella simulazione non mancano le pecche, anche gravi, come ad esempio nel primo esercizio in cui si dà, a mio avviso, una scorretta interpretazione fisica della funzione q(t) (in realtà poi evidenziato anche sul sito del MIUR). Insomma, sembra che i primi a doversi chiarire il rapporto tra matematica e fisica siano proprio i tecnici del Ministero!

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Laudes, in occasione della nuova maturità 2019, ha deciso di pubblicare a cadenza regolare una guida per l’esame, in cui verranno analizzate le prove svolte finora nelle simulazioni: seguiteci su Facebook e sul blog per ricevere aggiornamenti sui post di approfondimento che pubblicheremo in questi giorni.

Ma non solo: anche quest’anno abbiamo attivato corsi di preparazione alla maturità con i nostri migliori docenti. Quest’anno sarà ancora più importante arrivare pronti, rilassati e preparati. Per qualsiasi informazione sui corsi di preparazione alla nuova maturità potete cliccare qua.

 

Tema ironico

Guida alla nuova Maturità 2019 – Prima Prova

Per quanto gran parte dell’attenzione sulla nuova maturità sia focalizzata sulle seconde prove (che hanno subito grossi rivolgimenti, come vedremo nei prossimi giorni), sull’assenza della terza prova e sul nuovo procedimento per gli orali, forse non tutti sanno che anche la prima prova è cambiata un bel po’. Le simulazioni fatte il 19 febbraio e il 26 marzo ci consentono di fare una prima valutazione, anticipando che il giudizio è positivo per gran parte dei cambiamenti.

Partiamo dalla prima tipologia, quella dell’analisi del testo. La tipologia comprende, a scelta dello studente, un testo di prosa e un testo di poesia relativi alla letteratura studiata l’ultimo anno (finora sono usciti Montale, Pascoli, Morante e Pirandello): includere due opzioni invece di una ci sembra un’ottima innovazione, che riduce l’aleatorietà della tipologia. La prova, come negli anni passati, è suddivisa in due parti, una di analisi e comprensione, l’altra di produzione di un testo informativo e argomentativo, che ruota attorno al tema principale del brano, in cui viene invitato lo studente a fare confronti con altri autori e brani che affrontano lo stesso argomento. A differenza degli anni scorsi, viene anche data la possibilità di svolgere la prima parte scrivendo un unico testo al posto delle risposte alle singole domande: da una parte, è più difficile strutturare le risposte in un testo continuo e coeso, dall’altra dà più strumenti allo studente per “cavarsela” nel caso abbia poco da dire nelle risposte ad alcune domande (concentrandosi magari su altre). Tuttavia, bisognerà anche vedere come sarà valutata la scelta: a parità di informazioni fornite, lo studente che strutturerà le risposte in un unico testo avrà una valutazione migliore?

La seconda tipologia, quella informativo-argomentativa, è quella che ha subito più stravolgimenti, tutti molto interessanti. Innanzitutto, ci sarà solo un testo, e non l’usuale collage di brani: sono state accolte le critiche di chi diceva che i testi forniti per il saggio breve erano troppo brevi, decontestualizzati e per questo poco caratteristici per la tipologia informativo-argomentativa. Un testo più lungo, come quello della prova attuale, è più rappresentativo e permette di seguire un ragionamento più complesso. Anche le richieste sono molto diverse dal passato: una parte è dedicata a domande sulla comprensione (anche molto specifiche sul lessico e sui connettivi usati) e al vituperato riassunto: purtroppo nell’ultima simulazione del 26 marzo una delle proposte per questa tipologia non aveva come richiesta il riassunto, quindi non possiamo dire con certezza se ci sarà sempre. In ogni caso, l’inserimento di una parte di verifica sulla comprensione obbligherà a dedicare maggiore tempo, durante il percorso scolastico, proprio alla comprensione di testi informativo-argomentativi (ottimo!) e alla produzione di tipi di testo che affinano la scrittura in generale, come i riassunti (ottimo!), oltre a consentire una valutazione più razionale e distinta per competenze in sede d’esame.

Infine, nella seconda parte viene richiesta naturalmente la produzione di un testo a partire dagli spunti del brano riportato e dalle tematiche proposte dalla traccia, con la richiesta esplicita di “coesione e coerenza” (concetti che forse ora cominceranno a essere introdotti nella didattica per forza di cose). Insomma, questa nuova tipologia sembra una via di mezzo tra il classico tema scolastico e il vecchio saggio breve: si dà maggiore libertà allo studente in sede di produzione (attenzione: questo non vuol dire che è più semplice, anzi) mentre vengono introdotti paletti per quanto riguarda la comprensione, attività che finora non era mai entrata nell’esame di stato.

La tipologia C è quella di cui francamente non si capisce molto il senso, pur essendo praticamente uguale al tema degli anni passati: essendo l’unica tipologia che non presenta esplicitamente domande o richieste sulla comprensione, sembra essere stato concepito come refugium peccatorum, una boa di salvataggio, da una parte, per lo studente che ha difficoltà con le prove precedenti (soprattutto per quel che riguarda la comprensione del testo) dall’altra, per il docente che non ha la voglia/possibilità di affrontare durante il triennio un percorso legato alla comprensione e alla scrittura di testi non letterari. Invece, se la tipologia voleva essere una possibilità per quegli studenti più creativi e inventivi, a cui le maglie del discorso argomentativo stanno strette, allora non si è fatto abbastanza, visto che sempre un testo informativo-argomentativo viene chiesto. Inutile far notare che la tipologia C, senza paletti, senza distinzione delle competenze e che lascia molta libertà allo studente è in realtà molto più difficile delle altre due: diventa “più semplice” in fase di valutazione, proprio perché la mancanza di paletti e richieste esplicite consente ai docenti di essere di manica più larga.

Insomma, a parte la tipologia C, sostanzialmente invariata, la prima prova sembra decisamente migliorata, soprattutto perché la distinzione delle competenze (dalla comprensione alla stesura di un testo originale) permette di impostare un percorso didattico più razionale e utile rispetto al passato, consentendo di concentrarsi esplicitamente su tutti gli aspetti della lingua scritta, dalla lettura alla stesura. Nelle prossime settimane sottolineeremo questi aspetti e daremo qualche indicazione per affrontare la prima prova.

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Laudes, in occasione della nuova maturità 2019, ha deciso di pubblicare a cadenza regolare una guida per l’esame, in cui verranno analizzate le prove svolte finora nelle simulazioni: seguiteci su Facebook e sul blog per ricevere aggiornamenti sui post di approfondimento che pubblicheremo in questi giorni.

Ma non solo: anche quest’anno abbiamo attivato corsi di preparazione alla maturità con i nostri migliori docenti. Quest’anno sarà ancora più importante arrivare pronti, rilassati e preparati. Per qualsiasi informazione sui corsi di preparazione alla nuova maturità potete cliccare qua.

 

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Guida alla nuova Maturità 2019

Quest’anno tutti i riflettori sono sulla nuova maturità: l’esame di stato è infatti cambiato, e non poco, sia come strutturazione sia nelle singole prove (ce ne siamo già occupati qua). Naturalmente, il primo anno di un nuovo ciclo è quello che preoccupa di più, non essendoci esempi concreti dagli anni passati: per questo il MIUR ha organizzato delle simulazioni (che trovate qua) per la prima e la seconda prova, mentre rimaniamo ancora in attesa di esempi dei materiali di partenza dell’orale (qualche informazione aggiuntiva è stata data qualche giorno fa).

Ricordiamo i principali cambiamenti: la prima prova (che si svolgerà il 19 giugno) non avrà più il saggio breve ma un testo argomentativo da commentare e uno da produrre, le seconde prove (20 giugno) comprenderanno più materie di indirizzo (ad esempio greco e latino per i classici, fisica e matematica per gli scientifici), non ci sarà la terza prova e il colloquio orale prevederà l’estrazione di un argomento di partenza, una relazione sull’alternanza scuola lavoro e domande di educazione civica.

Laudes, in occasione della nuova maturità 2019, ha pubblicato una guida per l’esame, in cui sono state analizzate le prove svolte finora nelle simulazioni: seguiteci su Facebook e sul blog per ricevere altri aggiornamenti sulla Maturità 2019.

Prima prova: https://www.laudes.it/2019/05/guida-alla-nuova-maturita-2019-prima-prova/

Seconda prova – scientifico: https://www.laudes.it/2019/05/guida-alla-nuova-maturita-2019-seconda-prova-scientifico/

Seconda prova – classico: https://www.laudes.it/2019/05/guida-alla-nuova-maturita-2019-seconda-prova-classico/

Seconda prova – linguistico: https://www.laudes.it/2019/05/guida-alla-nuova-maturita-2019-seconda-prova-linguistico/

Colloquio orale: https://www.laudes.it/2019/05/guida-alla-nuova-maturita-2019-colloquio-orale/

Ma non solo: anche quest’anno abbiamo attivato corsi di preparazione alla maturità con i nostri migliori docenti. Quest’anno sarà ancora più importante arrivare pronti, rilassati e preparati. Per qualsiasi informazione sui corsi di preparazione alla nuova maturità potete cliccare qua.

Peter Tabichi (Kenya) vince il Global Teacher Prize 2019

Il 23 marzo 2019 è stato assegnato il quinto Global Teacher Prize, il premio al “miglior insegnante del mondo” organizzato dalla Varkey Foundation. Il vincitore è un insegnante kenyano, Peter Tabichi, frate francescano che insegna alla Keriko Mixed Day Secondary School, in una regione della Rift Valley.

Come si sa, il premio viene assegnato a docenti che lavorano in contesti in cui l’insegnamento e la frequentazione scolastica sono resi difficili dal contesto socio-economico (problemi che non riguardano solo nazioni poco sviluppate, gli scorsi anni è stato assegnato anche a docenti che lavorano in Canada, Stati Uniti o Regno Unito). Contesti in cui la bravura e l’impegno di un insegnante possono fare davvero la differenza.

Il contesto in cui insegna Peter Tabichi, insegnante di Scienze, è condizionato non solo dall’estrema povertà, ma anche da un quadro sociale fortemente eterogeneo, con ragazzi di diverse etnie e religioni. A questo si aggiungono naturalmente tutti i problemi legati a contesti in cui l’istruzione è poco sviluppata: ci sono 58 studenti per ogni insegnante, e alcuni ragazzi fanno fino a 7 km a piedi per raggiungere la scuola (scuola che ha un solo computer e una connessione a internet diciamo traballante).

L’insegnante kenyano, oltre a dedicare l’80% del suo stipendio all’aiuto dei ragazzi più poveri, si è concentrato in particolare sul gruppo di scienze, aiutando gli studenti nella preparazione di progetti scientifici (di cui il 60% ora viene selezionato per competizioni internazionali), incentrati soprattutto sul nutrimento e sul problema della siccità. Inoltre, con altri colleghi ha attivato un servizio di insegnamento uno-a-uno per matematica e scienze, rivolto soprattutto agli studenti con risultati meno positivi, che viene svolto spesso a domicilio e durante il weekend.

I risultati sono straordinari: in tre anni le iscrizioni alla scuola sono raddoppiate, la scuola è prima nelle graduatorie delle scuole pubbliche kenyane, i casi di cattiva condotta sono passati da 30 a 3 all’anno. Non solo: una squadra della scuola è stata selezionata per partecipare alla Fiera Internazionale della Scienza e dell’Ingegneria che si terrà a maggio a Phoenix, in Arizona (USA).

“Dall’Africa usciranno gli scienziati, ingegneri, imprenditori che saranno un giorno famosi in ogni angolo del mondo. E le ragazze saranno una parte enorme di questa storia.” ha detto Tabichi. Con insegnanti così non sarà difficile.

Greta Thunberg parla

Questi ragazzini sfaccendati e senza valori

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un lungo e tortuoso dibattito sul “disagio giovanile”. Gli adolescenti, questi esseri alieni e incomprensibili per noi adulti, genitori e insegnanti, ci hanno fatto preoccupare con la loro noia e il loro nichilismo. I media hanno dato molto risalto a fenomeni gravi come il cyberbullismo, la baby prostituzione, la violenza di branco sui più deboli… E quello che ne emerge è un quadro desolante, di una gioventù perduta e priva di ogni valore morale, senza rispetto per sé e per il prossimo.

E se non tutti i ragazzi arrivano a prostituirsi per comprare un vestito costoso o a prendersi pasticche in discoteca, comunque la maggior parte di loro, dicono, trascorre la giornata sui social, non legge più, ha disturbi dell’attenzione sempre più marcati, ma soprattutto non è più curiosa e, schiava dell’immagine su Istagram, vive in uno stato di apatia costante, scandito dall’inquietante presenza di compiti in classe e pagelle.

Ma è veramente così?

In questi ultimi giorni abbiamo assistito a una mobilitazione globale di adolescenti che sono scesi in piazza per manifestare a favore della Terra, ma soprattutto per proteggere il loro futuro, minacciato dal cambiamento climatico dovuto all’inquinamento di CO2, un cambiamento che (ci tengo a ribadirlo, perché i negazionisti sono ancora tanti) è sostenuto scientificamente dalla maggioranza degli scienziati.

A capo di questo movimento abbiamo visto una sedicenne col viso pulito e le trecce alla Pippi Calzelunghe, Greta Thunberg, che senza peli sulla lingua ha parlato davanti ai potenti per ribadire la necessità impellente di un cambiamento di rotta. Il 15 marzo folle di ragazzini hanno popolato le piazze del mondo per salvaguardare il loro avvenire. E noi adulti che li dovremmo proteggere e aiutare a crescere? Li abbiamo apprezzati finalmente? Li abbiamo sostenuti nella loro, anzi nella nostra battaglia?

La risposta purtroppo è no. Sui social si è scatenata la folla degli “haters” (tutti adulti, ovviamente, alcuni anche molto stagionati) ed ecco che Greta diventa ora una pericolosa rettiliana, ora una marionetta nelle mani di non si sa chi per non si sa quale complotto ai danni di non si sa chi, ora una bambola di un film horror, ora una “figura idolatrica” da aborrire. C’è anche chi ha pubblicamente affermato che se non fosse affetta dalla sindrome di Asperger la metterebbe volentieri sotto con la macchina. A fare queste gravi affermazioni su una ragazzina di sedici anni sono stati anche giornalisti, cantanti, scrittori; gente che ha abusato della libertà di parola e che meriterebbe la damnatio memoriae (a voler esser gentili).

In una realtà come questa, in cui gli adulti possono denigrare e sbeffeggiare pubblicamente (e impunemente) dei minori invece di proteggerli a spada tratta, io mi domando se non sia piuttosto il caso di parlare di un “disagio del mondo adulto”. Il vuoto morale e il nichilismo sono i nostri. Siamo noi gli schiavi dell’immagine su Istagram, siamo noi quelli che vogliono manifestare opinioni (spesso infondate) su qualunque argomento senza sapere nulla su Twitter, siamo noi quelli che scagliano insulti inauditi sul prossimo, nascosti dietro lo schermo del telefono o di un pc. E quella bambina con le trecce suscita tanta antipatia perché ha la forza di combattere per il suo futuro, mentre gli adulti, impigriti e disillusi, preferiscono continuare a vivere con uno stile di vita che palesemente sta portando l’ecosistema terrestre alla rovina, piuttosto che fare lo sforzo di cambiare rotta. Tanto che importa? Fra vent’anni saranno morti!

Gli adolescenti hanno bisogno di modelli e di guide (ma ora gli adulti non hanno più la voglia e la capacità di esserlo) e la loro curiosità va stimolata a scuola e in casa. Vanno amati, protetti, ascoltati, da tutti i membri della società civile (o almeno di una società civile che si rispetti). E se alzano la voce per rivendicare il loro sacrosanto diritto di respirare aria pulita e vivere in un mondo con gli orsi polari e i ghiacciai, gli adulti devono vergognarsi per non averci pensato loro, a difendere il mondo per i propri figli e i propri nipoti. Anzi, gli adulti devono vergognarsi delle condizioni in cui stanno lasciando il mondo a questi ragazzi.

Alla manifestazione del 13 marzo a Roma l’unico adulto che ha parlato è stato il geologo Mario Tozzi che ha giustificato la sua partecipazione dicendo: “Come scienziato mi sento chiamato in causa, ma sono venuto anche perché sentivo il bisogno di chiedere scusa a questi ragazzi. Questa manifestazione l’avremmo dovuta fare noi adulti che forse siamo più consapevoli”.

Ma noi adulti siamo davvero più consapevoli dei giovani che sono andati a manifestare? Io credo proprio di no.

Piccola apologia dell’errore

Se facessimo un sondaggio su quale colore rappresenti meglio la scuola, con ogni probabilità il più votato sarebbe il rosso. Rosso come il tratto di penna, matita, pennarello che in genere evidenzia l’errore fatto nel compito in classe. Il rosso è un colore come tanti, con connotazioni positive e negative a seconda del contesto (il sangue ma anche l’amore), ma state certi che la prima cosa che si prova a sbirciare quando sta per venire riconsegnato un compito è la densità di rosso, che denoterà la quantità di errori, e di conseguenza il voto.

La scuola è il regno degli errori, anzi, la scuola esiste proprio per gli errori. Eppure, l’errore viene generalmente considerato come l’anormalità, piuttosto che la normalità: l’errore è odiato, temuto, evitato nelle maniere più disparate (dal copiare il compito al compito in bianco: meglio bianco che rosso, si penserà); l’errore provoca vergogna e imbarazzo nei confronti della classe e del professore, e la paura di errare porta al blocco, alla chiusura, al non intervenire, al non interagire. Sarà anche per l’uso che se ne fa al di fuori della scuola: indicare un errore nelle attività altrui ci pone in una posizione di superiorità, in qualche modo quindi ci gratifica, tanto quanto può mortificare (e chiudere) chi viene colto in fallo.

Ma torniamo alla scuola. Dicevamo che l’errore viene considerato l’anormalità: etimologicamente è così, “errare” è vagare senza una meta, ma ancora prima, in latino, era “sbagliare strada”. C’è una strada giusta, normale, e ce ne sono infinite sbagliate, anormali. Ma in un contesto didattico la normalità diventa anormalità e viceversa. Se si sta imparando è impossibile non sbagliare: sbaglia chi insegna, figuriamoci quanto può sbagliare chi sta imparando. Io, l’altro giorno, preparando un seminario sull’errore linguistico (la mia prospettiva è quella di un docente di italiano), mentre prendevo qualche appunto personale per impostare il discorso, ho scritto “sfalzare”, con la z (ecco il correttore che me lo segna col rosso infame): preso tra i mille pensieri su cui stavo ragionando, mi sono perso la connessione tra “sfalsare” e “falso”, e l’ho scritto così, come lo pronuncio. Insomma, l’errore non per forza denota ignoranza: soprattutto quando si scrive, il nostro cervello gestisce così tante attività contemporaneamente che ogni tanto si perde qualche pezzo.

Ma non prendiamoci in giro: l’errore il più delle volte indica una mancanza, una carenza, un dominio non completo dell’argomento o dell’attività. Per insegnante e studente l’errore è il punto di partenza: ti spiego una cosa, tu sbagli, ti spiego dove hai sbagliato, cosa hai sbagliato, quale norma è stata violata (o quale uso standard è stato violato, nel caso delle parole), cosa fare per non incorrere nello stesso errore. Tu sbaglierai di nuovo, io spiegherò di nuovo, restringendo sempre più il campo. Dal blocco di marmo si ricava la statua dalle sembianze reali, ma la statua, nel mentre, è passata per tanti momenti in cui è stata un coso-senza-forma, un obbrobrio senza qualità riconoscibili: intervenendo qua e là, piano piano, una zona per volta… ecco vedi, quello è il naso, quelle sono le orecchie, quello è il braccio, e quella la mano che tiene un sasso.

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L’errore è traumatico. Frustra il professore, convinto della perfezione della sua spiegazione, della linearità delle regole che ha esposto; frustra lo studente, eppure le regole le sapeva: cos’altro deve fare per accontentare il professore? Perché l’esercizio non viene? Perché il tema è scritto male?

Evitiamolo, questo trauma, perché l’errore è il fulcro della didattica (esiste addirittura una pedagogia dell’errore). Solo attraverso gli errori, l’insegnante può capire se la lezione è stata compresa, se le indicazioni sono state acquisite. No? Perfetto, proviamo in un altro modo, con altre parole; solo attraverso gli errori, lo studente si sporca le mani, ricorderà la regola per le numerose volte in cui l’ha violata. Negli anni universitari usavo “riguardo” senza la preposizione: “Riguardo questa cosa, volevo dirti ecc.”, e il prof. Serianni ogni volta mi correggeva “riguardo A questa cosa”: in maniera molto neutra e netta, numerose volte; tanto ho sbagliato che non ho più sbagliato, e ancora mi risuona (come competenza, per quanto minima, non come trauma) quella preposizione “a” detta con maggiore intensità.

È un episodio di scarsissima rilevanza, ma mi ricorda ogni volta che così si acquisiscono le competenze: solo scalpellando scalpellando, di qua e di là, alla fine si può ottenere un bel naso.