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ragazzi con smartphone in classe

Nativi analfabeti

 

I giovani non sanno scrivere, non leggono, non comprendono… Quanti editoriali sul tema, quante volte lo leggiamo sui social network, scritto da qualche nostro contatto, quante volte volte lo pensiamo noi insegnanti, scoraggiati da errori grossolani, da un’evidente fatica nell’espressione di un pensiero o nel mascherare l’assenza di un pensiero. È una reazione comune; l’importante è che rimanga confinata nella categoria “giudizi di pancia”, quelli che ti fanno esclamare “Eddai! Come si fa?”, quando correggi l’ennesimo riassunto in cui non è stato compreso il senso di un testo, anche banale. Ma appunto, l’insegnante deve andare oltre il giudizio di pancia, oltre il pessimistico O tempora o mores. Ce lo ricordava il professor Luca Serianni l’anno scorso, durante la sua lectio magistralis per l’ultimo anno di insegnamento, che “chi sceglie di fare l’insegnante non può permettersi il lusso di essere pessimista, perché ogni allievo è una risorsa preziosa”.

Come generalmente accade, nelle critiche generazionali che vengono rivolte ai giovani, la colpa è sempre di qualcosa che distrae dalle cose che contano, come la lettura: la musica pop, la televisione, i videogiochi e oggi, su tutto, gli smartphone. “Sempre attaccato a quel coso”, “Sempre a fare video/fare foto/chattare”; l’alternativa sarebbe leggere “un buon libro” (anche qua, ci sarebbe da discutere sui libri come entità che automaticamente elevano la mente, a prescindere dal loro contenuto).

Scuola simpson cellulari in classe

Ora, sicuramente rispetto ad altri momenti della seconda metà del ‘900 (non spingendoci oltre coi paragoni), il “libro”, inteso come oggetto di fruizione di contenuti (narrativi, informativi, argomentativi), è messo in minoranza da altri mezzi e formati, come serie tv, videogiochi e social network; tuttavia, non abbiamo grandi notizie su età dell’oro in cui la maggior parte dei giovani leggeva, anziché fare qualsiasi altra cosa considerata più divertente (leggere fumetti, guardare la tv, giocare o uscire con gli amici, ecc.). Leggere non è mai stata tra le attività preferite della maggior parte dei ragazzi.

È un’attività faticosa di per sé, che soprattutto nella giovinezza richiede impegno e motivazione, e non potranno mai bastare argomentazioni anche valide sulla superiorità del libro e del testo lungo né, a maggior ragione, obblighi (chiedetevi, voi lettori, se la vostra passione per la lettura derivi da una costrizione o da ragioni personali, spesso incomprensibili). A questo fattore, dobbiamo aggiungerne altri con cui gli insegnati di oggi devono per forza di cose confrontarsi: 1) i ragazzi d’oggi in realtà già leggono tantissimo, molto più delle precedenti generazioni: solo che non leggono i testi che intendiamo noi, ma messaggi su Whatsapp, didascalie di foto a Instagram, hashtag, meme, ovvero testi brevi, frammentari, con pochi legami logici espliciti; 2) sono abituati a una lettura pervasiva e non isolata da altre attività, non condotta in alcuni momenti specifici della giornata (mettersi a letto a leggere), al contrario leggono in contesti in cui la lettura si fa parallelamente ad altro (mentre si guarda la tv, mentre si sta con gli amici, mentre si sta a scuola o a lezione); 3) questa lettura di superficie si alterna velocemente, sullo stesso mezzo (principalmente lo smartphone), sulla stessa applicazione (social network), alla fruizione di contenuti formalmente diversi, come immagini, video, audio.

Vignetta sugli smartphone

La lettura è quindi un’attività già conosciuta, padroneggiata, ma condotta con frame cognitivi che poi, per forza di cose, vengono estesi anche alla fruizione di testi di natura diversa (un manuale scolastico, un articolo di giornale, ecc.). Il risultato frustrante è che quei frame, di lettura veloce e a salti, non funzionano su testi lineari e complessi, che richiedono, al contrario, una lettura intensiva e focalizzata unicamente sul testo e sulla sua interpretazione. Non funzionano perché sono testi completamente diversi, che basano la loro struttura e il loro valore semantico sulle strutture tradizionali della lingua (lessico, sintassi e testualità) e molto meno sull’implicito, sulla dialogicità, sulle immagini e sull’insieme di conoscenze condivise, tipiche dei testi di cui normalmente i ragazzi hanno esperienza.

Questa totale diversità di approccio alla lettura e esperienza dei testi è all’origine di molte difficoltà didattiche odierne, a partire naturalmente dalla lettura di libri e dei manuali scolastici, considerati troppo difficili e quindi inutilizzabili, o ormai ridotti, per le dette difficoltà, a testi superficiali compensati da apparati paratestuali ipertrofici e banalizzanti, che forse aiutano lo studente a superare un’interrogazione e a rispettare i programmi ministeriali, ma di certo non lo aiutano a confrontarsi con tipi di testo diversi e con la lettura intensiva.

È dalla consapevolezza della diversità, radicale, tra il mondo scritto in cui sono cresciuti gli insegnanti e quello in cui stanno crescendo i discenti, che bisogna partire, per rendere efficace l’insegnamento: magari dedicando un po’ più di tempo alla lettura di testi non letterari, al confronto tra i tipi di testo ai quali loro sono abituati e quelli che conosciamo noi, al confronto tra i registri e le possibilità espressive dei registri. Siamo solo all’inizio, siamo la prima generazione di insegnanti a confrontarsi con questi aspetti, e forse saremo l’unica a farlo in un contesto così problematico: ma proprio questo ci obbliga a uno sforzo di comprensione che vada oltre la demonizzazione dei giovani e dell’evoluzione tecnologica.

 

Autorevolezza o autoritarismo?

Cosa hanno in comune il dibattito sui problemi legati alla divulgazione scientifica contemporanea e quello sulla scuola? Apparentemente poco, eppure credo che un filo conduttore si possa ritrovare nella questione dell’autorità.

La parola “autorità”, sulla cui origine invito a leggere il saggio di Maurizio Bettini Alle soglie dell’autorità (contenuto nella raccolta L’autorità, curata da Bruce Lincoln e tradotta in italiano nel 2000 da Einaudi), deriva dal latino “auctoritas”. Tra le varie accezioni del termine latino “auctor”, oltre a colui che fa crescere”, troviamo il “dare successo”, il “condurre a un esito felice, prospero”. Dunque l’auctor è colui che crea, ma anche il maestro, il modello, colui che è dotato di credibilità e rende credibile ciò che dice o promette perché ha già dimostrato, conducendo a esiti felici, il valore, la veridicità delle proprie affermazioni e iniziative. Una sanzione sociale ricevuta dall’esterno, dagli altri, e che non si basa tanto sul proprio ruolo formale e giuridico, quanto sulla credibilità conquistata  con il tempo presso coloro con i quali si interagisce.

 cicero

Dal sostantivo sono nati due aggettivi: “autoritario” indica, secondo il vocabolario Devoto-Oli, qualcuno “che impone con intransigente fermezza la propria volontà o tende ad una esagerata affermazione della propria autorità”, mentre con “autorevole” si intende colui “che gode di stima e credito notevole, che ispira riverente fiducia”. Apparentemente di segno opposto, i due aggettivi sottolineano in modo complementare le diverse prospettive per leggere la questione dell’autorità, oscillante tra imposizione, accettazione più o meno volontaria e rifiuto.

Tra i due aggettivi, dando per valide le riflessioni etimologiche di Bettini, “autorevole” sembra aver conservato una maggiore vicinanza al sostantivo originario, mentre “autoritario”, derivato dal francese autoritaire nella seconda metà del diciannovesimo secolo, sembra aver subito l’influenza della specializzazione in ambito politico; non a caso, l’unico esempio di uso del Devoto-Oli è proprio “stato autoritario”, cioè “quello a organizzazione accentrata e gerarchica […] nel quale i poteri sono esercitati dall’esecutivo senza controllo (o con controllo limitato) da parte di altri organi”.

Quale dei due aggettivi sarebbe auspicabile applicare a un docente o a un divulgatore scientifico?

Ad alcuni questa domanda potrebbe apparire retorica, eppure non lo è: contano molto la propria visione del mondo e il modo in cui ci si posiziona di fronte alla questione dell’autorità. Sembra uno di quei dilemmi esistenziali alla Hobbes versus Locke, alla “gli uomini sono tendenzialmente buoni” contro “gli uomini sono tendenzialmente cattivi”. Siete per un’autorità autorevole o autoritaria? Il problema, però, è che soprattutto nel caso dei docenti la questione è più complessa, dal momento che l’autorità viene esercitata nei confronti di persone in fase di formazione, in larga parte minorenni, dunque non sullo stesso livello di chi dovrà esercitare l’autorità, se non altro dal punto di vista legale.

vignetta kidelka

È di pochi giorni fa un articolo di Paola Mastrocola che, come in passato, non ha perso l’occasione fornita dai recenti fatti di cronaca per ribattere sul tasto dell’autorità intesa in senso repressivo. Dopo aver elencato alcune “scenette diverse e lontane tra loro”, Mastrocola conclude in modo un po’ trumpiano che bisognerebbe dotare genitori e insegnanti di armamento pesante e convincerli a usarlo senza remore, in modo autoritario, nei confronti dei giovani. Nell’articolo trovano spazio alla rinfusa, senza troppe giustificazioni, idee e argomenti di vario tipo: la crisi della democrazia, i social network, i bambini che fanno chiasso ai ristoranti, l’edonismo, le piattaforme di condivisione video, il bullismo, l’ipse dixit, l’uno vale uno. “O tempora o mores!”, insomma, come da tradizione. Un momento che svela più di quanto intendesse, credo, è la quarta scenetta, in cui Mastrocola racconta di come sia stata totalmente ignorata durante un’ora di supplenza, nel suo ultimo anno di insegnamento. Che fai, in una situazione del genere, da buon docente? “Ti innervosisci. Ti sale una collera. Provi a fare la voce grossa, ti parte qualche ordine, qualche divieto.” Non proprio da manuale. E non paga del risultato prodotto (“Niente.”), cosa ti combina subito dopo? “Mi è partito un discorso veemente, edificante, moraleggiante, sul rispetto, l’autorità, la gentilezza, il ruolo, l’educazione, il dovere….” che ha dato frutti ancora peggiori (“Un disastro.”). A quanto pare, oltre a non ricordare che i puntini di sospensione di solito sono tre, Mastrocola non ha tratto insegnamento da un’occasione in cui, da giovane (ce lo racconta nella scenetta successiva), aveva assistito a una splendida lezione di supplenza: il docente, anziché innervosirsi e lanciare ordini e divieti a caso, si era prodigato in un racconto su Konrad Lorenz e i suoi esperimenti con le anatre. Risultato? La classe aveva ascoltato la lezione con interesse.

Beh, con una classe disattenta è ovvio che non si può nemmeno tentare di far lezione”. Ma siamo proprio sicuri che il metodo migliore per catturare l’attenzione dei ragazzi sia innervosirsi, farsi salire la collera e tentare di lanciare ordini e divieti a caso per imporre la propria autorità? Proviamo un attimo a tornare nei panni di un giovane studente: siamo sicuri che ascolteremmo volentieri un anziano sconosciuto, arrabbiatosi dopo qualche minuto perché la propria autorità non viene data per scontata e perché nell’aula non regna un silenzio tombale?

La domanda retorica ne introduce una reale: i maestri e i divulgatori lavorano correttamente allo scopo di acquisire autorevolezza? Probabilmente molti credono di dover essere ritenuti autorevoli dato il proprio percorso di studi. Quando scoprono di doversi conquistare l’autorevolezza giorno dopo giorno, avendo a che fare con persone sconosciute, alcuni scelgono la scorciatoia dell’autoritarismo: esercitare in modo dispotico le prerogative del proprio ruolo, senza preoccuparsi del rapporto con i fruitori del proprio insegnamento.

Le persone vanno non solo informate, ma convinte che un qualcosa stia proprio in quel modo e non in un altro. Nulla di nuovo sotto il sole, per chiunque abbia letto Contro il metodo di Feyerabend in cui si parla, tra le altre cose, della rivoluzione scientifica galileiana; non basta inventare il cannocchiale e dimostrare di avere ragione (almeno per il momento): bisogna convincere gli altri. Ovviamente, i metodi di persuasione e le parole dovranno essere differenti: la comunità scientifica, i decisori politici e l’opinione pubblica non si convincono nella stessa maniera, così come un docente insegnerà in un modo all’interno di una classe di 30 studenti minorenni, in un altro modo se dovrà seguire un gruppo di 4 adulti lavoratori, in un altro ancora se dovrà educare un infante.

La rinuncia a differenziare i metodi divulgativi e l’impigrirsi dell’ambiente accademico lasciano ampio spazio a chiunque abbia il desiderio e la capacità di parlare all’opinione pubblica.

Anche perché, come scriveva il filosofo e scienziato politico Giuseppe Rensi nel 1920, nelle conclusioni di Filosofia dell’autorità

«Può essere seducente e doveroso insorgere contro l’autorità e il conformismo, quando il loro impero è esteso, formidabile e potente, su tutte le sfere della vita politica, economica, religiosa, scientifica, morale dell’individuo, e, combattendoli, riuscire a sottrarre ad essi, e a rimettere alla libertà di questo, almeno un qualche margine di essa vita». Un pensiero che, credo, sarebbe sottoscritto con grande rapidità da quanti, online e non solo, si battono per una discussione pubblica sui temi all’ordine del giorno, tra cui le guerre, le politiche monetarie e di austerità economica, le scelte in ambito medico per sé stessi o per i propri familiari.»

Pensiero che forse sarebbe stato guardato con simpatia anche da Platone, che nel settimo libro della Repubblica, al capitolo 4, analizzando il racconto della caverna svolto poco prima, così si esprime sui sapienti che si isolano nello studio, rifiutandosi di ridiscendere nella caverna per condividere non solo le proprie conoscenze, ma il proprio stile di vita con il resto dei concittadini:

«In base alle nostre premesse non è mai logico affidare lo Stato agli incolti e a chi ignora la verità, ma neppure a colui al quale viene permesso di passare tutta la sua esistenza nello studio: a quelli, perché nella vita non hanno un unico scopo a cui tendere in ogni loro azione privata e pubblica; a questi, perché non lo faranno volentieri, ritenendosi già in vita trasferiti nelle isole dei beati.»
«È vero» disse.
«Dunque noi fondatori dello Stato abbiamo il compito di costringere le nature migliori ad apprendere ciò che prima abbiamo definito la cosa più importante, ossia a contemplare il bene e a compiere quella ascesa; e quando siano saliti e abbiano visto abbastanza, non si deve permettere loro ciò che ora si permette.»
«Che cosa?»
«Di rimanere lassù rifiutandosi di scendere di nuovo fra quei prigionieri e di partecipare alle loro fatiche e ai loro premi, frivoli o seri che siano.»

 

 

Quando il bullismo è contro i prof

Risultati immagini per Insegnante

Anche oggi i giornali danno notizia di un professore picchiato a scuola, secondo un copione a cui ormai stiamo gravemente facendo l’abitudine: studente rimproverato, sgridato o che ha preso un brutto voto, genitore che picchia il professore. Questa volta il genitore si è pentito, la ragazza ha detto una bugia; insomma, ci sono come sempre circostanze da valutare che però, ora, non ci interessano: ciò che interessa è che questi episodi, in cui gli insegnanti vengono picchiati da genitori o da studenti, si ripetono con una frequenza allarmante. Solo negli ultimi giorni, un professore è stato picchiato in classe da uno studente in provincia di Verona e una professoressa è stata legata, picchiata e ripresa con un cellulare ad Alessandria.

Si rischia troppo spesso di cadere nella tentazione, soprattutto quando a comportarsi male sono gli studenti, del “O tempora o mores!“, del luogo comune per cui oggi i giovani sarebbero superficiali e non avrebbero più alcun rispetto per gli adulti. Niente di più sbagliato: è sempre stato così. Il ruolo della scuola e degli insegnanti è proprio quello di agire sui mores, sui comportamenti; per farlo, però, è necessario avere le spalle coperte, dal punto di vista politico, e un ruolo riconosciuto all’interno della comunità. Oggi mancano entrambi gli elementi.

Stiamo raccogliendo i frutti di una svalutazione dell’istituzione scolastica operata da tutte le forze politiche che si sono alternate al governo negli ultimi anni: una scuola che per essere considerata “valida” e “utile” è stata affiancata al mondo del lavoro, anche esplicitamente con l’alternanza scuola-lavoro, come se il suo ruolo da sé non bastasse, come se avesse senso solo in un’ottica di “preparazione di lavoratori”. Si capisce bene come, al di là della variabile capacità individuale di gestione di una classe e dei rapporti interpersonali con i genitori, in generale il ruolo del docente venga indebolito, quando alla scuola viene negata una propria ragione d’essere indipendente dal contesto lavorativo.

Non solo. La scuola è stata aziendalizzata, molti professori sono precari e il loro futuro dipende dalle decisioni del dirigente scolastico, ormai diventato capo: un professore precario, magari un supplente, che non sa nemmeno dove starà l’anno successivo, quale forza può avere di fronte a critiche di studenti e genitori? Come può agire, imporsi sui comportamenti, se rischia di essere il primo a saltare nel caso di contrasti? Un professore così debole non può operare in maniera corretta in un contesto critico come quello dell’istruzione degli adolescenti.

La frequenza di questi episodi è preoccupante, ma ancor più preoccupante è l’assoluto silenzio politico su questi continui episodi che evidenziano quanto sia stato indebolito il ruolo dell’insegnante. La classe politica di un sistema democratico deve assumersi l’impegno di ridare forza all’istituzione scolastica in sé, come fulcro e pietra miliare della formazione dei cittadini: non c’è altra soluzione.

 

Ripetizioni private: farle o non farle?

Su ciascuna arte molti argomenti, sia contro che a favore

«O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice delle nuove tecniche, altra cosa è giudicare quale grado di danno e di utilità esse posseggano per coloro che le useranno»
(Platone, Fedro, 274c)

Theuth, inventore della scrittura
Theuth, inventore della scrittura

In un noto passo del dialogo platonico Fedro, Socrate racconta di quando il dio Theuth fece visita al re egizio Thamus, recando in dono varie tecniche da lui inventate per migliorare le condizioni di vita della popolazione: «Theuth venne presso il re e gli rivelò le sue arti, dicendo che esse dovevano esser diffuse presso tutti gli egizi. Il re gli chiedeva quale utilità comportasse ciascuna arte, e poiché Theuth spiegava, egli disapprovava ciò che gli sembrava negativo e lodava ciò che gli pareva dicesse bene. Su ciascuna arte, dice la storia, Thamus aveva molti argomenti da dire a Theuth, sia contro che a favore».

Ogni tecnica o tecnologia può essere considerata positivamente o negativamente, a seconda della prospettiva da cui la si guarda, degli obiettivi, delle inclinazioni e dell’uso che se ne fa. Le lezioni private o ripetizioni, intese come attività di supporto allo studio, superamento di problemi specifici e mezzo per giungere a una più approfondita conoscenza di qualcosa, possono essere considerate come uno specifico insieme di tecniche.

Alcuni ritengono che il lavoro del docente sia sempre lo stesso: scuola, università, lezioni individuali o a piccoli gruppi, all’aperto o in un’aula dotata di strumenti più o meno avanzati tecnologicamente. Che cambia? L’importante è saper comunicare con precisione e chiarezza i contenuti, no? Chi la pensa in questo modo, può anche vedere l’insegnamento privato come una preparazione all’insegnamento in classe e l’insegnante privato come un docente che non è riuscito a passare di livello. Io la vedo in modo molto diverso e ho già scritto qualcosa al riguardo.

L’insegnamento, pur mantenendo degli aspetti comuni, è un’attività che varia moltissimo in base al contesto, alle persone coinvolte e a ciò che viene insegnato. Un allenatore che spiega alla sua squadra uno schema di gioco userà altre tecniche, rispetto a un docente universitario che vuole insegnare agli studenti, in un laboratorio di chimica, come riconoscere e riprodurre un tipo di reazioni: il tono di voce sarà diverso, la gestualità sarà diversa, ciò che è permesso fare all’insegnante differirà notevolmente; il professionista dell’insegnamento, in entrambi i casi, dovrà fare i conti con i limiti e le possibilità della situazione in cui si trova.

Le ripetizioni non sono sempre un bene

«Buongiorno, sono *la signora Rossi*. Mio figlio ha dei problemi in *latino*».

Facendo le dovute sostituzioni, ecco una frequente frase d’esordio di chi ci contatta telefonicamente. Quando ci sentono replicare «Di quali problemi parliamo?», non tutti riescono a rispondere. Se dopo aver ascoltato le spiegazioni del genitore, poi, tentiamo di dissuaderlo dall’idea di far studiare il figlio con un docente privato, i dubbi iniziali degli interlocutori si trasformano in vero e proprio stupore.

L’idea che le lezioni private siano in ogni caso qualcosa di positivo è difficile da combattere. È radicata nella mentalità del sacrificio secondo cui, a prescindere dalle motivazioni e dalle modalità, gli sforzi e i sacrifici “pagano”. Può sembrare un paradosso che, per far sforzare i propri figli, si chiamino dei docenti di sostegno; è un paradosso solo apparente: il genitore che intende lo studio in questo modo, vedrà il docente privato come un’estensione del proprio corpo, come un carceriere il cui scopo principale è tenere lo studente fermo al tavolo, di fronte al libro, per il maggior numero di ore possibile; non per aiutarlo nello studio, quindi, ma per costringerlo a studiare.

Le ripetizioni, come ogni mezzo e strumento, sono adatte ad alcuni contesti, con certe premesse; in altri contesti e con altre premesse rischiano di aggravare i problemi, anziché risolverli. L’esempio del paragrafo precedente è indicativo di un tipo di approccio che noi di Laudes cerchiamo di non avere; sempre più spesso, invece, ci troviamo in situazioni del genere. Molti genitori che ci contattano già fanno seguire i figli da docenti privati e sono in cerca di ripetizioni in altre materie. In queste situazioni, diventa difficile anche trovare un accordo sui giorni in cui vedersi, perché i ragazzi hanno ogni pomeriggio impegnato: sport, musica, lingue, ripetizioni… ogni cosa va bene, purché al ragazzo non venga lasciato tempo libero. A volte, persino il tempo libero viene programmato. Così, quando i ragazzi scoprono che le uniche due ore libere del giovedì pomeriggio saranno improvvisamente riempite dal docente di matematica, riuscire a farli appassionare alla matematica diventa una missione impossibile.

Il paragone che propongo sempre ai genitori, magari increduli di fronte a un intervento rifiutato, è quello con le stampelle. L’uso delle stampelle ha lo scopo di facilitare il corretto recupero delle capacità di deambulazione, rispettando un principio di gradualità nel ripristino del carico che gli arti devono sopportare. A un certo punto, però, il carico va ripristinato: se l’arto non si usa più, il recupero delle capacità deambulatorie ristagnerà e si interromperà. Alla fine, il rischio è quello di non riuscire più a usare l’arto. Uscendo dalla metafora, le lezioni ottengono il proprio scopo quando riescono a stimolare lo studente, ad appassionarlo, a colmare delle lacune pregresse che impediscono lo studio, a fornire alle menti la scintilla che le accenda, non quando si traducono in una nuova costrizione subita dallo studente controvoglia. Prima di chiamare un docente privato, sarebbe sempre il caso di discutere la cosa con chi poi dovrà effettivamente vivere le lezioni in prima persona.

Le ripetizioni non sono sempre un male

Mi è capitato di sentire di docenti di scuola superiore che comunicano ai ragazzi la propria contrarietà alle lezioni private, giungendo a minacciare vere e proprie ritorsioni. Mi sono interrogato su questo fenomeno: perché un docente dovrebbe essere contrario allo studio assistito? Ne ho discusso con alcuni colleghi della scuola pubblica. L’argomento principale è che le lezioni private non spingerebbero i ragazzi ad apprendere in modo autonomo; argomento molto discutibile, per vari motivi.

Prima di tutto, si dovrebbe capire in cosa consisterebbe il supporto allo studio e in che modo tale supporto sarebbe fornito. I problemi individuali e di contesto alla base degli insuccessi scolastici sono infiniti: il docente non conosce o non è in grado di spiegare un argomento? La classe è troppo numerosa e il docente non riesce a dedicare tempo ai singoli studenti e ai loro problemi nel comprendere certi argomenti? La studentessa sta vivendo un trauma familiare o personale? Dei problemi cognitivi complicano l’apprendimento di una materia? Alcuni compagni di classe rendono la vita a scuola difficile? Non tutti cercano un aiuto nello studio per gli stessi motivi: condannare in toto lo studio assistito senza conoscere i presupposti che hanno spinto uno studente a richiederlo non mi pare un atteggiamento condivisibile.

Il docente privato può condurre la lezione in moltissimi modi: limitandosi a spiegare dei concetti particolarmente complicati allo studente che non ha ancora gli strumenti adeguati per comprenderli; fornendo stimoli differenti rispetto a quelli dati in classe dall’insegnante; facendo fare esercizi aggiuntivi o svolgendo quelli assegnati al posto dello studente. Tutte queste azioni conducono a risultati differenti (non sempre positivi per la crescita intellettuale degli studenti): il modo in cui le lezioni private vengono condotte è essenziale e l’enorme differenza nei modi di condurre tali lezioni rende ridicola ogni generalizzazione al riguardo.

Poi, ci si dovrebbe intendere su cosa voglia dire “autonomia educativa”. L’argomento della carenza di autonomia non suona troppo convincente, se proposto da chi lavora in un’istituzione che, per la maggiore, fa della disciplina e dell’eteronomia dei cavalli di battaglia. Quante volte abbiamo sentito paragonare la scuola a una “palestra di vita” intendendo, con ciò, un’esperienza di accettazione passiva? Secondo questa tesi, i ragazzi dovrebbero imparare a stare zitti e a sopportare qualsiasi cosa, perché nella vita, molto probabilmente, gli capiterà di dover sottostare a qualche superiore incapace e antipatico ed è meglio se si abituano da giovani. La calma e il rapporto intimo che si creano in una lezione a tu per tu, invece, possono dar modo al docente privato di lavorare maggiormente sullo sviluppo del pensiero critico e quindi di mirare proprio al conseguimento di una maggiore autonomia intellettuale.

Nuove prove di maturità

Seconda prova della maturità 2017/2018

Ieri sono state comunicate le materie della seconda prova per la maturità 2017/2018, l’ultima maturità che prevede l’attuale svolgimento (dal 2018/2019 infatti cambierà, come abbiamo scritto qua).

Non ci sono state particolari sorprese: per il liceo classico ci sarà la prova di greco, in un’alternanza ormai consolidata con il latino, mentre per lo scientifico la prova sarà di matematica, come è sempre avvenuto (per il liceo scientifico tradizionale non è mai uscita la prova di fisica). Sempre nell’ambito dei licei ci sarà scienze umane per il Liceo delle Scienze umane, discipline artistiche e progettuali  per il Liceo artistico, teoria, analisi e composizione per il Liceo musicale e tecniche della danza  per Liceo coreutico.

Per quanto riguarda gli istituti professionali e gli istituti tecnici, la seconda prova varia a seconda dell’indirizzo. Per quanto riguarda gli istituti professionali, scienza e cultura dell’alimentazione sarà la seconda prova dell’indirizzo Servizi enogastronomia e ospitalità alberghiera, con diritto e tecniche amministrative della struttura ricettiva per l’articolazione Accoglienza turistica; tecniche professionali dei servizi commerciali per l’indirizzo Servizi commerciali; tecnica di produzione e di organizzazione per l’articolazione Industria dell’indirizzo Produzioni industriali e artigianali e progettazione e realizzazione del prodotto per l’articolazione Artigianato; tecnologie e tecniche di installazione e manutenzione per l’indirizzo Manutenzione e Assistenza tecnica.

Per quanto riguarda invece gli istituti tecnici, come seconda prova ci  sarà economia aziendale per l’indirizzo Amministrazione, Finanza e Marketing; lingua inglese nell’articolazione Relazioni internazionali per il marketing e nell’indirizzo Turismo; estimo nell’indirizzo Costruzioni, Ambiente e Territorio; meccanica, macchine ed energia per l’indirizzo Meccanica, Meccatronica ed Energia; sistemi e reti per l’indirizzo Informatica e telecomunicazioni; progettazione multimediale per l’indirizzo Grafica e comunicazione; economia, estimo, marketing e legislazione per l’indirizzo Agrario.

Insieme alle indicazioni è arrivato l’in bocca al lupo della ministra Fedeli, che ha invitato gli studenti a continuare “a consolidare la preparazione, ad arricchire le conoscenze e competenze”, non solo per la Maturità ma “come bagaglio da portare lungo tutto l’arco della vita”.

Potete trovare l’elenco completo per ogni articolazione e per ogni progetto sul sito del MIUR: qua  per i licei, qua  per gli istituti professionali e qua per gli istituti tecnici.

Luca Serianni presenta il documento per la prima prova dell'esame di terza media

Nuovo esame di scuola media – la prova di italiano

Il 16 gennaio la ministra Valeria  Fedeli e il linguista Luca  Serianni hanno presentato il “Documento di orientamento per la redazione della prova d’italiano nell’Esame di Stato conclusivo del primo ciclo” (lo trovate qua), un documento che va inteso (come è chiaro dal titolo) come un  quadro di riferimento per la preparazione della prima prova, che sarà a cura delle commissioni d’esame.

Innanzitutto consiglio di leggerlo a chiunque sia interessato alla didattica e alla lingua italiana, e non solo ai docenti delle scuole medie, perché non contiene solo linee guida per la preparazione della prova, ma anche indicazioni e spunti sull’insegnamento dell’italiano in generale. Ad esempio, già nelle premesse troviamo un invito a far svolgere, durante tutto il percorso scolastico, il riassunto, esercizio che “presenta alcuni requisiti formativi […] di grande importanza: verifica la comprensione di un testo dato e la capacità di gerarchizzarne i contenuti […]; abitua, con la pratica della riformulazione, all’uso di un lessico adeguato; […] propone ad alunne e alunni testi di natura e destinazione diverse,  mostrando loro attraverso il contatto diretto il variare della lingua a seconda della specifica tipologia testuale”.

Spostandoci nel merito della prova, vengono indicate quattro tipologie di prova: una narrativo-descrittiva, una argomentativa, una di sintesi e riformulazione e un’altra che prevede la combinazione delle precedenti tipologie. Per ognuna delle tipologie vengono indicati il percorso da seguire durante il triennio in relazione alla singola tipologia, l’utilità ( in ottica di didattica dell’italiano) e le possibili modalità di svolgimento, corredate da esempi.

Tipologia A: testo narrativo e descrittivo

La tipologia A comprende due tipi di testo diversi, trattati separatamente. Il testo narrativo andrà trattato lungo il triennio tramite la lettura di racconti (e altri generi letterari), la verifica della comprensione, la sintesi e la riscrittura in base al cambiamento di alcune variabili (posizione del narratore, inserimento di nuovi personaggi, ecc.); si invita inoltre, nell’analisi del testo,  a “evitare il ricorso a una tassonomia eccessivamente analitica che rischia di soffocare il piacere della lettura”. La prova dovrà prevedere un breve testo letterario, che funzioni da spunto per lo svolgimento e della prova, e precise indicazioni sul contesto, sull’argomento, sullo scopo e sul destinatario del testo. Viene precisato, ad anticipare chi grida alla limitazione della libertà d’espressione, che le indicazioni vanno intese come “strumenti che, insieme alla correttezza linguistica, aiutino ad indirizzare la creatività delle alunne e degli alunni verso una migliore e più efficace forma espressiva”.

Il testo descrittivo, invece, aiuta a sviluppare l’osservazione, la memoria e l’immaginazione, oltre a educare all’uso di un lessico preciso. Per sviluppare queste competenze si invitano i docenti a usare anche mezzi non linguistici, come ad esempio le sequenze cinematografiche, per mostrare le differenze tra le diverse inquadrature. Per potenziare le abilità di scrittura in relazione a questa tipologia vengono consigliati esercizi sull’uso dei tempi verbali e dei riferimenti spaziali, ed esercizi per l’accrescimento del vocabolario di base e sulle caratteristiche delle parole (concrete, astratte; rapporti di sinonimia, ecc.). Anche in questo caso, per preparare la prova, si consiglia di dare precise indicazioni sul contesto, sull’argomento, sul destinatario e sulla funzione della descrizione (informativa, espressiva, persuasiva).

Tipologia B: testo argomentativo

Nel documento si parte da un importante presupposto: argomentare è un atto linguistico primario, al pari del narrare. Cerchiamo di convincere qualcuno di qualcosa sin da bambini: alla scuola va il compito di insegnarci a maneggiare forme più articolate di argomentazione. Per questo la didattica dovrebbe essere orientata in modo che lo studente sia in grado di comporre testi orali e scritti, che “risultino ben strutturati e reggano al confronto con altri interlocutori e con altri testi”, con un lessico appropriato e seguendo un filo logico coerente ed esplicito.

Al di là dei consigli per le possibili tracce d’esame, lungo tutto il percorso scolastico bisognerebbe educare a tale funzione linguistica: presentare situazioni concrete (ad esempio, un dialogo tra due interlocutori con posizioni diverse, o la redazione di un verbale di una discussione che debba portare a una decisioni) e portare lo studente a confrontarsi con tesi diverse (ad esempio, lo sviluppo di una tesi contraria a una già presentata, o la riscrittura di un testo argomentativo, sostenendo la tesi contraria rispetto a quella del testo).

Tipologia C: comprensione e sintesi di un testo letterario, divulgativo, scientifico, anche attraverso richieste di formulazione

Come già anticipato nelle premesse, il gruppo di lavoro di Luca Serianni sostiene l’importanza della riscrittura e della sintesi, attività propedeutiche all’affinamento di tanti altri tipi di scrittura. Il riassunto, oltre a insegnare a scrivere (perché porta a confrontarsi con scrittori esperti), insegna a leggere e capire, vincolando lo studente alla selezione delle informazioni più importanti e alla loro gerarchizzazione. Oltre alla riscrittura con selezione delle informazioni e la riscrittura riassuntiva, la gamma di possibili esercizi prevede anche esercizi di riscrittura di natura diversa, come ad esempio la riscrittura parafrastica di un testo poetico per allargamento.

Prova strutturata in più parti, riferibili alle tipologie a), b), c)

Poco spazio si è dedicato nei commenti all’ultima indicazione del documento, che prevede la possibilità di comporre la prova (e quindi anche le esercitazioni lungo il percorso scolastico) con esercizi e testi riferibili alle tipologie già viste. In una prova di questo tipo vengono verificate (ed esercitate) tutte le competenze necessarie alla gestione di un testo, come la lettura e la comprensione, la gerarchizzazione delle informazioni, la padronanza del lessico e la capacità di realizzare un testo in relazione  a un genere testuale, una situazione, un argomento e uno scopo. In questa prova troveremo sia esercizi con  consegne stringenti (ad esempio, domande sulla comprensione) sia esercizi in cui viene lasciata allo studente la possibilità della produzione libera di un testo (da confrontare comunque con la situazione e lo scopo indicati nella consegna).

È evidente che il documento accoglie le metodologie più moderne nell’ambito della didattica dell’italiano e della scrittura. Queste linee guida non limitano la libertà di espressione dei ragazzi, come qualcuno ha detto, ma la indirizzano entro paletti ben precisi, linguisticamente funzionali. Quelli che possono essere percepiti come vincoli o limitazioni servono al contrario a rendere più efficace la propria scrittura e a far confrontare gli alunni con tipologie di testo che attualmente sono poco presenti nella scuola ma che saranno presenti lungo tutta la propria vita.