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Studiare a Laudes – Lettera di una mamma

Generalmente, delle lettere di ringraziamento che ci mandano studenti e famiglie, pubblichiamo solo qualche breve frase nella sezione “Dicono di noi” (potete vederle qua). In questo caso però le parole sono talmente belle e la lettera restituisce in maniera così piena quello che ogni giorno ci impegniamo a fare con Laudes che sarebbe un peccato non pubblicarla per intero.

Mio figlio ha frequentato nell’anno 2016-17 il I liceo linguistico riscontrando molte difficoltà. Faceva già ripetizioni di matematica da alcuni anni ma con scarsi risultati. Alla fine del primo quadrimestre aveva diverse insufficienze ed era molto scoraggiato. Avevo sentito parlare molto bene dell’Associazione Laudes e così ci siamo rivolti a loro.

Dal primo momento ho riscontrato da parte di tutti i ragazzi che vi lavorano una grande disponibilità e gentilezza e, soprattutto, un forte desiderio di conoscere e capire il ragazzo aiutandolo con un approccio “olistico” e adatto alla sua personalità.

Da subito, è stato chiaro che il loro obiettivo non era semplicemente quello di portare il ragazzo ad assimilare delle nozioni ma anche a cambiare atteggiamento nei confronti della scuola, ad imparare a studiare e ad esprimersi adeguatamente, superando le proprie insicurezze. I ragazzi di Laudes hanno adottato un approccio individuale, su misura per mio figlio, per il suo carattere e per le sue esigenze, piuttosto che uno stile standardizzato da applicare a tutti nello stesso modo.

Inoltre, ho trovato molto positivo il fatto di andare a studiare in un ambiente diverso da casa, in compagnia di altri ragazzi e con insegnanti giovani e dinamici, in una “mini-scuola”, dove, in un unico luogo, si può ricevere sostegno per qualsiasi materia, a seconda delle esigenze del momento. Credo che tutto ciò sia benefico ai fini di instaurare un’atmosfera meno “punitiva” e molto più stimolante rispetto a quella che si crea quando un insegnante viene a domicilio.

I ragazzi di Laudes hanno aiutato mio figlio a fare un cammino di recupero oltre ogni aspettativa. È arrivato lì a febbraio con 6 insufficienze ed è riuscito a recuperare 4 materie a giugno e 2 a settembre. Inoltre, credo che abbia imparato anche ad affrontare la scuola con un atteggiamento diverso e a credere di più nelle proprie capacità e, nonostante abbia dovuto lavorare tanto, è sempre andato a fare lezione volentieri, mentre viveva le ripetizioni a casa come un incubo. Infatti, ha costruito con i suoi insegnanti un rapporto positivo, ha trovato incoraggiamento e modelli positivi da seguire, bravi docenti ma allo stesso tempo ragazzi stimolanti con cui relazionarsi che non lo hanno mai mortificato davanti alle sue difficoltà come in passato altri avevano fatto.

Voglio ringraziare in particolare Fabio, Michelangelo ed Elena!

Con sincera stima e gratitudine,

V.

La grande quercia simbolo di Laudes

Tre anni di Laudes!

Eccoci arrivati a spegnere tre candeline. Un piccolo traguardo. Un momento per riflettere e fare il punto della situazione, per capire se la Laudes che stiamo costruendo corrisponde all’idea con cui cominciammo il nostro percorso il 24 agosto del 2014.

Nel celebrare qualcosa è impossibile evitare un po’ di retorica nella sua accezione più popolare, ma vorremmo partire con pochi, significativi dati sui primi tre anni di vita di Laudes. Grazie al lavoro di circa 60 docenti collaboratori, di cui 45 solo nell’ultimo anno, abbiamo dato aiuto a oltre 300 studenti con problemi di vario tipo legati allo studio.

Ci siamo interessati a ogni livello di istruzione, dalle scuole elementari alle università, passando per medie e superiori; abbiamo organizzato dopo-scuola ludodidattici per bimbi piccoli; abbiamo affrontato praticamente ogni disciplina insegnata nelle scuole pubbliche e private, dalle più frequentate e richieste alle più specialistiche; abbiamo fornito servizi di assistenza personalizzati per studenti con sindromi e disabilità cognitive e/o fisiche, disturbi specifici dell’apprendimento, bisogni educativi speciali o problemi familiari più o meno gravi; abbiamo aiutato a preparare esami universitari e a redigere tesi di laurea; abbiamo corretto bozze, tradotto testi e insegnato lingue a persone di varie età.

Ma Laudes non è solo didattica e supporto per testi e traduzioni. Ci siamo interessati altrettanto (e, in certi periodi, addirittura di più) all’aspetto divulgativo e ludico, organizzando lezioni aperte al pubblico e in diretta streaming, seminari, presentazioni di libri, uscite con gruppi di studenti e docenti per visitare mostre e per assistere a spettacoli teatrali, tornei e serate di gioco fini a sé stesse, giusto per il piacere di ridere e bisticciare insieme.

Andiamo orgogliosi anche delle cose che non abbiamo fatto. Per esempio non abbiamo fatto i compiti a casa al posto dei nostri studenti; non li abbiamo aiutati a distanza, durante i compiti in classe; non abbiamo scritto tesi di laurea al posto dei laureandi; non abbiamo lucrato sulle ansie delle famiglie, e in questo modo abbiamo evitato stressanti sovraccarichi di lavoro per quegli studenti che, a volte, vengono trattati dai genitori come recipienti per nozioni; non abbiamo approfittato del lavoro dei docenti, né li abbiamo trattati come sottoposti per ottenere un pur minimo e scabro piacere dall’esercizio del potere; non abbiamo selezionato i docenti sulla base di simpatie o amicizie, ma sempre pensando agli studenti con cui avrebbero dovuto interagire, cercando di diversificare i talenti e le attitudini; non abbiamo evitato discussioni, anche serie, su questioni concrete o di principio inerenti alla didattica o all’organizzazione, scegliendo di adoperare il metodo del consenso e giungendo a decisioni di compromesso tra le diverse visioni che animano il gruppo.

In questi tre anni hanno collaborato con noi persone di enorme valore. Per molti, quello dell’insegnamento privato è un lavoro transitorio; dunque, non ci siamo stupiti quando alcuni dei nostri migliori docenti ci hanno salutato per tentare l’ingresso nel lavoro dei loro sogni: laboratori chimici, informatici, aziende, una totale dedizione all’istruzione pubblica, sono molti gli ambiti che ci hanno costretti a salutare questo o quell’altro collaboratore. Ciononostante, ricordiamo con enorme piacere il periodo trascorso insieme e il clima di fraterna giovialità creatosi, grazie al quale siamo rimasti in ottimi rapporti con quasi tutti.

La sfida principale che ci attende ora, con il crescere del gruppo e la prossima apertura di nuove sedi nella città di Roma, è quella di mantenere la passione, l’atteggiamento e i metodi messi in pratica fino a questo momento. Non sarà semplicissimo e già adesso, a volte, il carico di lavoro non remunerato che molti di noi svolgono cresce fino ad assorbire completamente il tempo libero e le energie. Ce la metteremo tutta, traendo nuova linfa dalle molte soddisfazioni che ricaviamo dall’insegnamento e dalla gioia dei nostri studenti!

terzo compleanno

La grande quercia simbolo di Laudes

L’insegnamento tra scuola e lezioni private

Laudes è nata poco più di tre anni fa, anche se dall’idea alla realizzazione è trascorso del tempo. Dopo aver soppesato le vie da percorrere, abbiamo cercato man mano di risolvere vari problemi. Trovare il luogo idoneo per la sede e allestirla, per esempio, è stato uno dei primi e più importanti. Alla fine abbiamo aperto, fronteggiando la burocrazia e le incombenze organizzative, senza alcun capitale alle spalle, senza finanziamenti né spintarelle: veramente da zero.

Il primo anno è stato duro, dovendo fare tutto in pochi. Crollavamo esausti la sera, dopo l’ultima chiacchierata con una mamma o un papà, oppure di notte dopo una riunione. Metà giornata a fare lezione, l’altra metà a organizzare il lavoro. Tutto per vivere insegnando. Sogno nato chissà come; forse per amore verso un insegnante passato, forse per le ore in cui i nostri genitori ci hanno raccontato o letto delle storie.

Ci chiamiamo “insegnanti” perché insegniamo

Ci chiamiamo “insegnanti” o “docenti”; ogni tanto un ragazzo mi chiama “professore” e io sorridendo gli minaccio uno scappellotto; ogni tanto un bimbo mi chiama “maestro” e io gli rispondo «Seee… magari!». Alcuni difensori della vera fede, rimarcando la propria presunzione di superiorità, ci dicono «Vabbè, ma voi fate ripetizioni»; questa cosa, anche se mi sforzo di sorridere di fronte alla stupidità altrui, riesce sempre a farmi un po’ incazzare. Il problema non è l’uso della parola “ripetizioni”, sebbene non sia del tutto appropriata al modo in cui insegniamo, da cui la mia preferenza per l’espressione “lezioni” (quando si legge) e altre tra cui “incontri” o “chiacchierate” (quando gli studenti hanno particolari problemi con la lettura e quindi principalmente si parla); mi incazzo per il tono di supponente superiorità.

Essendo anche un discreto percussionista, ho già avuto modo di affrontare la questione: si suppone che si tratti di una cosa semplice, adatta anche a qualcuno alle prime armi e senza preparazione specifica; quindi viene fatta da tantissime persone e spesso in modi sbagliati, a volte aggravando i problemi degli studenti, anziché risolvendoli. Elio canta «Piantala con ‘sti bonghi» e a me dicono «Perché non la smetti con ‘ste ripetizioni e non ti trovi un lavoro serio?». Si tratta, appunto, di una supposizione. Nel caso della nostra associazione, una supposizione del tutto errata: i docenti hanno tutti delle grandi capacità disciplinari e didattiche. Ci siamo selezionati in modo fin troppo severo; tra i vari aneddoti che potrei citare a sostegno della tesi, mi piace ricordare quella volta in cui un amico romano mi disse «Aò, m’hanno preso a fare il dottorato a New York ma non a insegnare a Laudes…!».

A questo punto, ci si può chiedere (e a volte me lo chiedono) «Se amate a tal punto l’insegnamento, perché non insegnate in una scuola pubblica?». Questa domanda si ricollega a un dilemma sul quale ho dovuto riflettere a lungo: per parlare chiaro, bisogna avere l’animo chiaro. La risposta potrebbe essere fraintesa, ma ciò che tenterò di chiarire è fondamentale per l’intera attività dell’associazione.

Potremmo insegnare in una classe. Alcuni di noi già l’hanno fatto, altri lo fanno e dividono il proprio tempo tra l’insegnamento in classe e quello con l’associazione. Da un lato, non ci manca la preparazione sui contenuti: tutti i docenti hanno alle spalle un percorso accademico brillante fatto di centodieci cum laude, premi di laurea, dottorati. Dall’altro, non ci manca nemmeno la pratica didattica: alcuni insegnano privatamente, con buoni risultati, da oltre dieci anni. Perché, allora, insegnare con l’associazione?

La scuola pubblica, ma non per tutti

Prima di tutto bisogna riflettere sui percorsi che lo stato, negli ultimi anni, ha destinato a chiunque desiderasse insegnare nelle scuole pubbliche. Percorsi irti di difficoltà, burocrazia, falsità (nemmeno sempre smentite), modifiche in corso d’opera e non solo. Il Tfa, percorso formativo a pagamento che, dalla laurea, ha condotto all’abilitazione per gli aspiranti docenti, ha avuto durata annuale, con lezioni obbligatorie da seguire, compiti a casa e un periodo di tirocinio da svolgere in classe che si è spesso trasformato in lavoro gratuito al posto degli insegnanti titolari. Come accedere a questo percorso dovendosi mantenere autonomamente? Come conservare un posto di lavoro, senza poter lavorare per mesi e mesi? Soluzioni: farsi mantenere per l’intera durata del Tfa o avere già da parte una cifra bastante a stare un lungo periodo senza lavorare. Non tutti hanno potuto farlo: è stata attuata una sorta di selezione su base economica ancor prima di cominciare la “lotta meritocratica” per i posti in palio. In molti, comunque, hanno avuto la temerarietà e la fortuna di poter intraprendere questo percorso. Senza alcuna certezza, oltretutto, dato che l’abilitazione sarebbe stata solo il requisito per poter poi partecipare a un concorso.

Sono esagerato? Sto calcando troppo la mano su disagi cui qualsiasi tipo di lavoratore è sottoposto? Si legga rapidamente (ché simili persone non meriterebbero il tempo che gli si dedica, se non ricoprissero per chissà quale motivo ruoli di grande importanza) la dichiarazione di Stefania Giannini, ex Ministro dell’Istruzione, secondo la quale i Tfa e i Pas (percorsi di abilitazione ora aboliti) sarebbero stati «fabbriche di illusioni che hanno prodotto solo frustrazioni per chi li ha frequentati (pagando) e per chi vi ha insegnato».

Superati questi ostacoli, comunque, cosa che alcuni validi laureati e amici hanno fatto, sarebbe giunto il momento dell’agognata classe! Mèta ambita più che oasi nel deserto, ma non per questo fine ultimo delle sofferenze. Anzi, inizio di un nuovo tipo di sofferenze, più subdole perché mischiate al dolce del traguardo raggiunto. Un veleno ad azione lenta.

Vantaggi dell’insegnare in un’associazione

Tantissimi sono i problemi che affliggono l’insegnamento scolastico, in questo momento della storia italiana. Su molti siti dedicati al mestiere, non passa giorno in cui non emergano nuove carenze o questioni, intrinseche all’attività oppure elaborate dall’agire umano: strampalate circolari ministeriali; l’ottusità di un preside, di una famiglia, di uno studente o di un collega; la burocrazia che avviluppa intere giornate; l’incertezza stessa della possibilità di insegnare e imparare che prende varie forme, tra cui quella nota col nome di “supplentite”. Affronterò ora brevemente solo alcuni di questi problemi. Ci tengo anche a precisare che ritengo l’insegnamento pubblico uno dei pilastri della civiltà contemporanea. Mi riservo di spiegare in altra occasione, data la lunghezza già eccessiva di questo intervento, perché credo che il tipo di insegnamento da noi praticato non contrasti affatto con le istituzioni scolastiche, ma abbia invece delle potenzialità sinergiche da non sottovalutare.

Esempio estremo di "classe pollaio": i 54 studenti di questa foto di classe sono gli alunni che nel 2011 frequentavano il terzo anno del liceo scientifico Galilei di Modica (Ragusa). Fonte: La Repubblica.
Esempio estremo di “classe pollaio”: i 54 studenti di questa foto di classe sono gli alunni che nel 2011 frequentavano il terzo anno del liceo scientifico Galilei di Modica (Ragusa). Fonte: La Repubblica.

Ecco una delle difficoltà per me più importanti per tutti i docenti che credono nel proprio lavoro: l’omologazione dell’insegnamento nelle scuole pubbliche. Questo aspetto è strettamente legato alla necessità dello Stato di controllare i programmi scolastici per garantire, sull’intero territorio nazionale, il raggiungimento di eguali obiettivi didattici; consideriamola, dunque, una difficoltà intrinseca al lavoro di insegnante pubblico. Ciò che potrebbe essere declinato in modo intelligente, tuttavia, garantendo le specificità di ciascun insegnante e la tanto celebrata ma poco praticata autonomia degli istituti scolastici, viene spesso perseguito con l’inibizione di ogni metodo “diverso”, di ogni tentativo di andare al di là della mera ripetizione di nozioni, “depurando” le aule dalla personalità dei docenti. Molti docenti riescono ancora a comportarsi “diversamente”, ma ne pagano il fio, sopportando infinite battaglie contro le istituzioni e parte di colleghi e genitori. E non voglio certo dire che un metodo sia valido solo in quanto “strano”, ma la “stranezza” viene sempre più spesso usata come etichetta aprioristicamente negativa, inibendo sul nascere, magari, anche tentativi didattici di alta qualità.

Nelle scuole, purtroppo, si è esposti agli strali di chiunque si svegli con l’umore di traverso. Questo influisce soprattutto sulla libertà linguistica e comportamentale del docente. Non è facile da spiegare, ma ci sono momenti in cui una parolaccia o un gesto inusuale possono avere un grande valore didattico o addirittura educativo. Conosciamo tutti il film L’attimo fuggente: il film mostra la fine cui sono destinati molti dei docenti che non si allineano alle direttive, che mostrano originalità nell’approccio e nel linguaggio. Ciò è richiesto dalla scuola pubblica che necessita di standard. Come ho già detto, però, la sclerotizzazione delle procedure, delle etichette e dei regolamenti favorisce la marginalizzazione del diverso, l’accanimento nei confronti di chi tenti vie meno battute. Operando un’adeguata valutazione e selezione che garantisca la qualità del docente, l’insegnamento svolto nell’associazione offre la possibilità di usare metodi ed espedienti eterogenei, adeguati alla singola situazione didattica e alle esigenze dello studente, della famiglia e del docente.

Quanti docenti, a scuola, hanno mai provato a salire sulla cattedra?
Quanti docenti, a scuola, hanno mai provato davvero a salire sulla cattedra o sui banchi?

Le condizioni strutturali della scuola pubblica sono assai complicate, come già accennato: non è difficile trovare classi di 30 studenti e oltre; il tempo a disposizione per ciascuna materia è scarso; ciononostante, la quantità di cose da imparare rimane sempre più o meno la stessa. L’approfondimento e la chiarezza comunicativa che si riescono a raggiungere con un piccolo numero di studenti sono enormemente superiori.

L’autorità del docente, a scuola, è messa in dubbio ogni giorno e diventa sempre più complicato far percepire il valore del proprio lavoro e delle discipline che vengono insegnate. Lo si riscontra nel modo becero che i presidi e i genitori usano per trattare gli insegnanti, nelle frecciatine derisorie dei politici e degli opinionisti in televisione, nel disincanto che gli stessi insegnanti faticano a nascondere tra le righe dei propri scritti o tra le parole che pronunciano in pubblico e in privato. Lavorando in un’associazione che garantisca degna retribuzione e libertà di azione, nonché la possibilità di rifiutare un incarico da parte dei docenti e i docenti da parte delle famiglie, l’autorità e la fiducia reciproche vengono costantemente monitorate e salvaguardate.

Termino qui il breve e superficiale elenco sperando di aver almeno cominciato a chiarire, con questi argomenti, il perché alcuni di noi facciano questa scelta. Conto di riprendere il tema in prossimi interventi, approfondendo alcuni punti e, soprattutto, spiegando perché l’universo didattico dell’associazionismo abbia delle potenzialità sinergiche rispetto al mondo della scuola pubblica (e privata) ancora da valutare e apprezzare più seriamente.

Gli studenti sembrano apprezzare una lezione tarata sulle proprie esigenze...
A Laudes, gli studenti sembrano apprezzare una lezione tarata sulle proprie esigenze…

Giovedì 17 novembre – La crisi finanziaria del 2008 (Eugenia Gambaro)

Il 17 novembre ci sarà il consueto evento serale organizzato dall’Associazione culturale Laudes: Eugenia Gambaro, nostra docente di matematica e studente al corso di laurea magistrale in Economics dell’Università di Tor Vergata, ci parlerà della crisi finanziaria del 2008.

“Con questa crisi…”, “Per colpa della crisi…” e altre locuzioni, con al centro la parola “crisi”, sono diventata comuni da almeno 8 anni: ma cosa successe di preciso all’epoca? Cosa ha innescato la reazione a catena di cui ancora sentiamo gli effetti?

I meccanismi dell’economia non sono facili da capire, vista l’alta specializzazione delle discipline a questa connesse; per questo, Eugenia Gambaro non si limiterà a spiegarci cosa avvenne intorno a quel 2008, ma cercherà di farci immedesimare nelle varie parti in gioco.

Il mutuatario, il mutuatario subprime, la banca, l’agenzia di rating, l’investitore e la società veicolo: dovrete impersonare alcuni di questi personaggi, come in un gioco di ruolo, per comprendere meglio alcune delle scelte fatte all’epoca e le relative responsabilità.

Ci vediamo il 17 novembre alle 21 e 30 alla nostra sede di Via Ferdinando Martini, 13!

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